Pompei: Gli scavi

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POMPEI – Gallery dedicata alla bellezza degli scavi di Pompei. Le domus, i ritrovamenti ed i calchi in gesso che ci restituiscono gli ultimi istanti prima dell’eruzione.

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e autorizzaci alla pubblicazione.

I calchi di gesso

Grazie alla brillante intuizione avuta dal professor Fiorelli (nel 1870) a sperimentare la tecnica dei calchi, che sostanzialmente prevedeva la colatura di gesso in sostituzione del vuoto lasciato, non solo dai corpi decomposti ma talvolta anche di arredi, hanno permesso di conoscere usi, costumi e dettagli di vita degli antichi Romani.

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Nella foto qui di fianco, si può vedere il calco più affascinante. Correva l’anno 1922, e durante i lavori di scavo presieduti dell’archeologo e soprintendente agli scavi di Pompei, Vittorio Spinazzola, che nel cosidetto “Orto dei fuggiaschi” nei pressi del Criptoportico furono rinvenuti, attraverso un calco, due corpi intrecciati: Un uomo e una donna, abbracciati insieme nell’ultimo istante di vita. Il suggello dell’eterno amore. Un amore grande, immenso, che fa affrontare insieme la morte, anche la più terribile! Qualcuno li battezzò «Gli amanti». Recentissimi studi hanno poi accertato che entrambi i corpi erano di uomini.

La Casa di Paquius Proculus

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Lo splendido pavimento che accoglie il visitatore, uno dei mosaici più estesi che esistano a Pompei dove fanno bella mostra di se animali appartenenti a varie specie. La casa è abbastanza antica risalendo al II sec a.C. e si sviluppa su tre livelli. Anche questa casa possiede all’ingresso principale un mosaico con un cane alla catena. L’immancabile giardino ha in posizione centrale una vasca in marmo con quattro colonne atte a sorreggere il pergolato. Interessanti sono le pitture con rappresentazioni del fiume Nilo situate nel triclinio.

La prigione panetteria

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Dai lavori di scavo a Pompei, gli archeologi hanno portato alla luce una “prigione-panetteria” dove esseri umani e animali erano costretti a macinare il grano per ottenere il pane.
Gli animali camminavano in tondo per ore con gli occhi bendati, girando la macina, mentre gli umani versavano continuamente i cereali.

La prigione aveva solo finestre vicino al soffitto per far entrare la luce e una porta che conduceva a una lussuosa casa di proprietà degli schiavisti. Un ritrovamento che mostra il lato più scioccante dell’antica schiavitù.

Il mistero del cranio di Plinio

Si è appena concluso l’anno del bimillenario pliniano e Carlo Avvisati manda in libreria un agile pubblicazione dal titolo “Plinio il Vecchio. Il mistero del cranio ritrovato” per la casa editrice Artem.
Si tratta di una puntuale disamina sulla scoperta avvenuta tra 1899 e 1901, a pochi metri dall’attuale casello autostradale della A3 di Castellammare di Stabia, in un’area oggi parte del territorio comunale di
Pompei. In un complesso archeologico che era evidentemente connesso con il porto fluviale di Pompei.
Qui, venne indagato un edificio con numerose tabernae e furono scoperti i resti di numerosi fuggiaschi.
Uno scheletro, in particolare, colpì la fantasia di Gennaro Matrone, il proprietario del fondo che diede nome allo scavo: accanto aveva i resti di un gladio, una corta spada utilizzata dai militari romani. Il corpo era adagiato a una colonna. Di qui, la suggestione che dietro quei resti mortali potesse esserci stato Plinio Seniore, l’ammiraglio della flotta imperiale di stanza a Miseno.

Plinio, come è noto grazie al racconto del nipote nelle due celebri lettere a Tacito, era giunto a Stabiae da Miseno dopo il tentativo non riuscito di sbarca a Resina. E sulla spiaggia stabiana perse la vita nelle drammatiche ore dell’eruzione.
Nel suo scritto, Avvisati ricostruisce nel dettaglio la storia del rinvenimento e anche tutte le posizioni favorevoli o contrarie all’identificazione. Il cranio venne venduto da Matrone ad Alessandro Tommasi e da
questi donato al Museo storico nazionale dell’arte sanitaria che è a Roma, all’interno dell’ospedale Santo
Spirito in Sassia. E lì è attualmente esposto, nella Sala Flajani, dentro una vetrina. Avvisati unisce cronaca
e scienza e ci accompagna in un singolare viaggio nella storia dell’archeologia vesuviana tra la fine dell’Ottocento e i primissimi anni del Novecento. Anni nei quali, a fronte di scoperte, la ricerca archeologica intrecciava esplorazioni condotte dallo Stato con “la caccia al tesoro” che le leggi ancora consentivano attraverso affidamento diretto ai proprietari dei suoli di vere e proprie campagne di scavo.
La pubblicazione, che contiene anche riproduzioni di documenti e giornali d’epoca, ha la prefazione
del direttore del Parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel: “Che un rinvenimento archeologico
diventi in un qualche modo “scomodo”, tanto da non essere più “toccato” dai più, capita forse più frequentemente di quanto non si pensi –
scrive Zuchtriegel – i motivi possono essere vari: dubbi su provenienza o autenticità, questioni spinose di interpretazioni che sembrano costringere gli studiosi a schierarsi da una parte o dall’altra, implicazioni che sembrano andare contro corrente riguardo il mainstream della ricerca in un determinato momento”.

La bisnonna della pizza

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A Pompei è stato trovato un affresco con l’antenato della pizza: è una focaccia condita con frutta e spezie. Sembra una pizza, ma ovviamente non lo può essere, dato che mancavano alcuni degli ingredienti più caratteristici, ovvero pomodori e mozzarella.
Secondo gli archeologi però potrebbe trattare di “un’antenata” della pietanza moderna. L’affresco raffigura una natura morta ed è emerso nell’ambito dei nuovi scavi nell’insula 10 della Regio IX a Pompei, in una abitazione che si trova vicino al forno. Tale genere di immagini, noto in antico con il nome xenia, prendeva spunto dai «doni ospitali» che si offrivano agli ospiti secondo una tradizione greca. Dalle città vesuviane si conoscono circa trecento di queste raffigurazioni.

La cappella Sansevero

Cappella Sansevero Napoli

NAPOLI – Situata nel cuore del centro antico di Napoli, la Cappella di Sansevero è un vero gioiello del patrimonio artistico italiano.

È detta anche chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietella, ed è tra i più importanti musei di Napoli.
La Cappella ospita capolavori come Il Cristo Velato, di Giuseppe Sanmartino, la Pudicizia, di Antonio Corradini e il Disinganno, di Francesco Queirolo.

Il tutto era di proprietà di Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, committente e allo stesso tempo ideatore dell’apparato artistico settecentesco della cappella.

Fiordo di Furore

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Il Fiordo di Furore si trova in costiera Amalfitana.
Soprannominato “il paese che non c’è” per il fatto che le sue case emergono dalla roccia che circonda la spiaggia, è un piccolo borgo di pescatori. La denominazione esatta è quella di ria, cioè ristretto specchio d’acqua posto allo sbocco di un vallone a strapiombo, ed è creato dal lavoro incessante del torrente Schiato che da Agerola corre lungo la montagna fino a tuffarsi in mare. Il paesino, con circa 680 abitanti, è formato da casette colorate che si raggiungono percorrendo tornanti tortuosi che arrivano al mare attraverso una scalinata.
Dal 1997, il fiordo come tutta la Costa d’Amalfi, è entrato a far parte del Patrimonio Mondiale UNESCO.