I Volontari del Capitano Ultimo

Che i sogni degli emarginati e degli inascoltati costituiscano la linfa più densa contro la mafia: questi non sono solo pregnanti aspirazioni di un’icona della lotta alla criminalità organizzata, come è il generale dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, ma parole grido di battaglia per l’associazione “Volontari Capitano Ultimo”, che dal 2009, si occupa del recupero dei deboli e del loro reinserimento sociale.

E’ un volontariato militare, così come il noto Ultimo ama chiamarlo, quel convergere di sinergie e forze umane che creano oggi una vera e propria oasi di solidarietà: quella che era una delle tante strutture vuote ed abbandonate a sud di Roma, ora grazie al sostegno di chi crede in una solidarietà sociale fatta di convivenza con gli ultimi, è uno spazio dove hanno sede una miriade di posti fautori di nuova vita, per chi se l’è vista sottrarre dai mille tentacoli della piovra criminale. E infatti l’antico casale appena poco lontano da chiassoso viavai del Gran Raccordo Anulare, ha nei suoi spazi verdi molto più che un vero e proprio patrimonio ambientale: oltre alla casa famiglia, luogo di rinascita e di conquista per chi ha subito o commesso ingiustizie ma che oggi è pronto a riscattarle, negli immensi giardini dell’associazione trovano ospitalità il ristorante “Il Mendicante”, tassello della filiera solidale che si prefigura di concretizzare occasioni di lavoro per chi non ne ha, nonché tipico e topico ristorante di sana cucina italiana, oltre poi ai laboratori che si occupano della produzione di quello che, rifacendosi sempre all’ideale di semplicità e sacrificio, è chiamato anch’esso “del Mendicante”.

Quella di Sergio De Caprio, il vero nome di chi ancora oggi per un generoso senso della missione ama farsi ricordare come “Ultimo”, è stata ed è una vita ipotecata e posta su un filo sospeso in aria a favore del prossimo, per il folle quanto verrebbe da dire ormai inumano motivo di poter carpire la felicità della libertà da chi lo circonda. Lo si capisce dal passamontagna che ancora copre quel volto per crude ragioni di sicurezza ignoto alla Nazione che lui stesso ha contribuito a rialzare dal giogo criminale, da quegli occhi che guardarono con rabbiosa soddisfazione la faccia di chi il 15 gennaio 1993 finì nella morsa delle sue stesse manette. Ma non è, e non può essere solo l’arresto del bosso Salvatore Riina il terreno sul quale si è costruito il mondo del colonnello aretino. Sarebbe la mera e macchinosa sintesi di un’esistenza condotta sempre sotto la totale e sincera dedizione alla propria divisa, che però, proprio per l’incondizionato amore dell’umiltà, egli stesso non ama indossare quasi mai. Quando dopo l’uccisione dell’amico fraterno Falcone gli fu affidata la conduzione dell’operazione che portò all’arresto del primo padrino di Cosa Nostra, Ultimo la sua battaglia contro la mafia l’aveva già intrapresa, nel pensiero indubbiamente, ma nella pratica anche: a Bagheria, dove gli era stato affidato il primo incarico di comandante di stazione, aveva già consegnato alla giustizia mandanti ed esecutori dell’omicidio del Capitano Basile. Da allora la sua guerra non ha mai conosciuto resa, nemmeno quando lui stesso si ritrovò ad essere addirittura additato come complice e colluso della manovalanza criminale siciliana. Ultimo si rialzò anzi più forte e combattente, e decise che il suo nome in codice sarebbe divenuto il diktat della sua vita: era stare dalla parte degli “ultimi” fare antimafia sociale, era tutelare i dimenticati contrastare la macchina del fango che già lo aveva investito senza pudore.

Da questa vita declinata secondo il valore del “soldato straccione”, quello che è pronto a strapparsi le mostrine di dosso per sporcarsi la tuta militare, nasce il progetto dei volontari del capitano Ultimo. Carabinieri in congedo, parenti e amici di militari, militari stessi che decidono di poter rendere il proprio servizio alla comunità anche al di fuori delle mura di una caserma, semplici cittadini: tutti uniti dal coraggio e dall’amore per un patrimonio etico da salvaguardare nella società del degrado morale. Tutti pronti a sacrificarsi senza pretendere nulla in cambio, seguendo il diktat del capitano oggi vice-comandante del NOE di Roma, che però sarà sempre ed innanzitutto il soldato combattente nella trincea degli oppressi. L’obiettivo è quello di creare un’economia sociale che sia volano per la sopravvivenza e la successiva autosufficienza di chi avrebbe rischiato di precipitare nel burrone di una vita cupa: i ragazzi che continuamente sono ospitati nella Casa Famiglia sono principalmente figli di detenuti, o comunque provenienti da situazioni di “dissesto educativo”, che nella struttura di Capitan Ultimo ritrovano non solo la dignità di poter condurre una vita sana e giusta, ma riscoprono le proprie passioni, i propri talenti, le proprie aspirazioni.

Quelli che nelle strade delle periferie romane erano merce umana pronta al macello della microcriminalità, oggi sono persone che hanno costruito fieramente la propria dignità: oltre al ristorante, tante altre le attività tra l’orto stagionale didattico donato dalla Coldiretti, la falconeria dove si applica la pet therapy e dove l’amore per gli uccelli rapaci diviene anticamera del rispetto per l’ambiente, e persino i corsi di formazione professionale resi possibili dalle eterogenee personalità che affollano volontariamente la struttura. Con l’associazione “    Volontari Capitano Ultimo” l’antimafia sociale si è tradotta nella missione di poter concimare il terreno della propria vita e raccoglierne il frutto più bello: quello della pace.

Mariano Scuotri

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