Filiera circolare e Made in Italy per le mascherine

Una nuova filiera circolare, tutta italiana, per le mascherine ad uso civile, dalla produzione al riciclo. La proposta arriva da Enea – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile che ha ideato un progetto per rispondere a problematiche emergenti che vanno dalla necessità di approvvigionamento al rischio di abbandono nell’ambiente dei dispositivi oltre che alla necessità di offrire una spinta al sistema produttivo.  

Economia circolare ed ecodesign le parole d’ordine. Claudia Brunori, responsabile della divisione Uso efficiente delle risorse e chiusura dei cicli, dipartimento Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali, descrive all’Adnkronos il «progetto per la filiera circolare delle mascherine ad uso civile: l’idea è quella di realizzare una filiera che va dalla progettazione alla produzione, dalla raccolta al riciclo fino alla re-immissione nel ciclo produttivo del materiale riciclato».  

«Si tratterebbe di una filiera completamente nuova ma necessaria sia per motivi sanitari sia ambientali, perché contribuirebbe ad evitare il rischio di dispersione di mascherine nell’ambiente. Oltre ad essere un’opportunità di buona pratica di lavoro e di riconversione delle attività produttive», continua.

Primo step: pensare ai materiali e all’efficacia in termini di capacità di filtrazione e traspirabilità visto che vengono indossate anche per ore.

«I materiali che di norma vengono utilizzati nelle mascherine chirurgiche sono dei polimeri plastici, polipropilene, poliestere, polietilene – spiega Brunori – Poi c’è l’elastico, il ferretto per stringere la mascherina sul naso. Quindi ci possono essere una serie di materiali che rendono il successivo riciclo economicamente non sostenibile. L’unica possibilità di smaltimento, stando pure a quelle che sono le indicazioni, è di conferire tutto nell’indifferenziato. Non è possibile una valorizzazione».  

Secondo elaborazioni Ispra, la produzione calcolata fino a fine 2020 si attesterebbe tra le 60mila e le 175mila tonnellate di rifiuti.

«Stiamo parlando potenzialmente di 35-40 milioni di mascherine – spiega – che devono essere conferite tutti i giorni nei rifiuti indifferenziati» e anche se c’è «la possibilità di smaltirli», perché «a livello di peso non si tratta di una quantità elevata rispetto a quello che finisce normalmente nell’indifferenziata, l’obiettivo del progetto è però quello di trarre una opportunità sostenibile dall’attuale criticità».  

Da qui l’idea: «Si tratta di produrre dei filtri monouso, in grado di garantire le caratteristiche che attualmente hanno le mascherine chirurgiche, composti da un solo materiale, in particolare polipropilene che presenta le prestazioni migliori in termini di traspirabilità e filtrazione. I filtri andrebbero poi inseriti in mascherine lavabili e riutilizzabili. Quindi filtri senza elastico e nasello ma inseriti in una mascherina fissa, non usa e getta».  

Una volta utilizzati «i filtri potrebbero essere conferiti in punti di raccolta come quelli dei farmaci scaduti magari presso farmacie o supermercati o in altri luoghi. Contenitori smart che siano in grado di riconoscere il filtro, sanificarlo e contabilizzarlo associandolo a chi lo ha conferito, affinché si possano elaborare anche forme di incentivazione per il corretto smaltimento rivolte al cittadino come, per esempio, bonus per l’acquisto di nuove mascherine».  

Infine: «Ci vuole il coinvolgimento del gestore rifiuti nella filiera, il tutto deve arrivare all’impianto di riciclo. Lo stesso polimero utilizzato per il filtro potrebbe essere riutilizzato per produrre altri filtri o altri materiali in tessuto non tessuto (Tnt) che rientrerebbero nel ciclo produttivo».  

Quali i tempi per una sua realizzazione? «Pochi mesi perché ci sono già tutti gli attori che ci stanno ragionando e si sono messi a sistema. In collaborazione con Radici Group, Enea vorrebbe partire da un primo pilota da realizzare nella zona di Bergamo-Brescia. La stessa tipologia di organizzazione potrebbe essere allargata ad altri territori o altre filiere. Il progetto deve essere finanziato ma nel momento in cui c’è volontà di partire a livello istituzionale si può realizzare in breve tempo», conclude.  

Fonte: AdnKronos

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