Una giornalista investigativa, Tamuna Chkareuli, e la sua scelta, un reportage nella fabbrica Geo-M-Tex di Tblisi, seconda parte di un lavoro di inchiesta ben più ampio. In incognito, senza protezione, per raccontare il viaggio di quel prodotto finito che arriva nelle nostre vetrine portando con sé le decine di storie invisibili delle persone che lo hanno lavorato.
In una fabbrica con quattro laboratori (cappotti, pantaloni, taglio, imbottitura dei cappotti), arriva il primo giorno di lavoro per la reporter neo assunta, e il suo compito iniziale: “contrassegnare i punti per i bottoni dei jeans e attaccarli con tre presse diverse”, in maniera rapida e veloce.“Attenta alle dita” si sente dire mentre è al lavoro.
Insieme ad altre 30 lavoratrici e con un solo climatizzatore, la coraggiosa giornalista racconta di un’aria irrespirabile e di uno strato di polvere blu presente in ogni angolo e spazio del locale.
Orario di lavoro 9/18 e tre sole pause: una pausa pranzo di 40 minuti e due pause da dieci minuti di cui una alle 11 e una alle 16. Pause custodite dalla sorveglianza, sempre attenta a controllare il rispetto degli orari. A fine giornata, la verifica della borsa, ancora una volta da parte della sorveglianza, per essere certi che non sia stato portato via nulla. Intanto, la Geo-M-Tex viene seguita nella gestione da Eurotex Ltd dopo circa cinque mesi dalla sua istituzione, come viene riportato nel reportage della Chkareuli, che specifica come la Eurotex a sua volta avesse concluso accordi con marchi noti come Moncler, Uvex, Equiline e Dainese.
Difficile
capire lo stipendio, primo perché la giornalista scopre presto di
essere stata assunta come apprendista e secondo perché le
somme spettanti ai lavoratori seguono un processo contorto, come
nel caso dei jeans: “la somma per capo va moltiplicata
per numero di jeans prodotti, poi divisa sia per i vari processi di
lavorazione che per il numero dei lavoratori coinvolti”. La
reporter parla della difficoltà di reggersi in piedi fino a fine
giornata, della reazione cutanea comparsa all’improvviso per poi
scoprire che non era l’unica ad aver avuto gli stessi sintomi, fino
al giorno in cui per la stanchezza ha perso “la
concentrazione e la pressa le è caduta un paio di volte sulla punta
delle dita”.
Lavoratori costretti a subire le ire dei direttori o delle direttrici di turno, il tutto interamente raccolto in un lavoro giornalistico diviso in due parti. Un lungo viaggio nell’industria tessile della Georgia – vedi la prima puntata – riassumibile in una frase che accomuna esperienze e luoghi di lavoro differenti attraverso un motto ripetuto e dilagante… “Se non ti va bene, vai a casa”.
Elena Mascia