Ekkapol Chantawong, “Coach Ake” l’allenatore della squadra giovanile thailandese 12 Wild Boar. L’eroe, l’ex monaco buddista, il mister di 25 anni: quello che ha aiutato i suoi ragazzi con la meditazione, quello che non ha mangiato la sua razione per dare più cibo ai ragazzini ed è stato l’ultimo ad uscire dalla grotta di Tham Lueng, dopo 18 giorni. Proprio lui. È quello che in molti, di questi tempi, ignoranti delle leggi in materia di cittadinanza e con fare dispregiativo, e con rancoroso odio misto a livore, chiamerebbero “clandestino” attribuendogli tutti i mali di questo mondo.
Ekkapol, tecnicamente, è apolide, non ha un certificato di nascita, nè documenti di identità o quantomeno un passaporto. Oltre al mister altri 3 baby calciatori sono nella sua stessa situazione. Anche per questo, pur volendo, loro non potrebbero presenziare alla finale dei mondiali, anche se invitati direttamente dal Presidente della Fifa.
Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sarebbero 400.000 gli apolidi in Thailandia. Altre fonti parlano addirittura di oltre tre milioni e mezzo di persone provenienti da quella che fu la Birmania (attuale Myannmar), in fuga da guerre e conflitti etnici e che oggi si ritrovano in Thailandia. Persone catapultate in una situazione complessa che mina alla base i loro diritti fondamentali: non sono registrati da nessuna parte, non possono sposarsi, non hanno lavoro e, soprattutto, in quanto “invisibili” non possono viaggiare.
Speriamo, ora, che la tragedia evitata di Tham Lueng accenda i riflettori sugli apolidi thailandesi ed i loro problemi e si possa giungere presto ad una loro risoluzione.