Ritorno Volontario Assistito: non chiamatelo rimpatrio

Con lo stabilizzarsi della tendenza migratoria verso l’Italia e la sua analisi sempre più dettagliata, si scoprono dati interessanti che possono sorprendere, un esempio: il progetto migratorio, messo in piedi dai migranti, non è detto che sia un progetto di vita programmato nei minimi dettagli.

E’ frequente, infatti, il caso di chi parte perché ha un motivo valido e i soldi per farlo, intraprende una rotta verso l’Europa (libica o mediorientale/balcanica) e ad un certo punto, costretto a rischiare la vita ripetutamente, perse anche le minime certezze, non può tornare indietro: senza documenti sequestrati o rubati, impossibilitato a rimanere o chiedere protezione in paesi che osteggiano questo tipo di garanzia, tira dritto verso l’Europa, superando torture, fame e disperazione.

Altro è il caso dei migranti di vecchia data, i quali si vedono costretti ad affrontare il fallimento del loro, spesso lungo, progetto migratorio: perché in Italia non hanno trovato quella stabilità economica di cui avevano sentito parlare, perché un cavillo o una piccola dimenticanza nel rinnovare i documenti o, peggio, la mancanza di un contratto di lavoro li hanno resi di nuovo irregolari.

Il Ritorno Volontario Assistito, che, diciamolo da subito, non va inteso come una forzatura al ritorno, è, invece, la possibilità offerta a tutti i migranti di ritornare nel proprio Paese d’origine, ammesso che non vogliano restare nel Paese ospitante e che, in modo volontario e spontaneo, desiderino rientrare.

Tornare a casa è complicato, come lo è dire a se stessi che la migrazione non è stata risolutiva o addirittura una scelta completamente sbagliata; altrettanto difficile è spiegarlo alla famiglia lasciata a casa, alla quale molto spesso viene data un’immagine completamente diversa dalla realtà, negli scorsi anni attraverso i racconti e le foto, oggi attraverso i social.

In moltissimi casi, si è visto che colui che mette in conto un ritorno è un soggetto vulnerabile psicologicamente che si trova di fronte a una nuova migrazione e che vive tra due forze contrastanti: l’attrazione del paese d’origine (la famiglia, la patria) e la repulsione del paese di immigrazione (problemi economici, lavoro, residenza o anche problemi di salute)

La misura del Rimpatrio Volontario Assistito (RVA) è attuata dal Governo italiano da oltre un decennio, attraverso l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). I programmi di Ritorno Volontario hanno sostenuto nel corso degli anni centinaia di migranti, nel 2016 in Italia circa 3.700 sugli 81.000 che l’hanno fatto in tutta Europa. Nel 2018 le attività sono realizzate in stretta sinergia con il progetto REVITA, finanziato dal fondo FAMI che ne potenzia anche caratteristiche e servizi. Per i dettagli, si può [ cliccare qui ].

Il progetto prevede una presa in carico dell’utente che non si limita al pagamento del viaggio e al ritorno a casa senza pericoli ma prosegue col garantire un rierto dignitoso con la possibilità di iniziare una nuova vita: è previsto infatti un contributo in acquisto di servizi (non cash) fino a € 2.000 per casa, lavoro, farmaci (nel caso di patologie non coperte dal servizio sanitario del paese d’origine), formazione o per intraprendere un’attività imprenditoriale monitorata per i successivi 6 mesi (le più frequenti, acquisto di taxi, realizzazione di allevamenti o attività agricole).
I programmi di Ritorno Volontario Assistito vengono realizzati sia su base individuale che con nuclei familiari e seguono sempre una richiesta volontaria del migrante; data tale volontarietà non si deve commettere l’errore di confonderlo con il rimpatrio forzato, strumento completamente diverso che, tra l’altro, ha un costo molto superiore per lo stato italiano oltre ad essere una misura di fatto inefficace per il numero limitato di stranieri effettivamente rimpatriati.

Giovanni D’Errico

photo credit: Giovanni D’Errico

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