Ungheria: Filo spinato e guardie alla frontiera costano il triplo dell’accoglienza

Amnesty International non ci sta e vuole che l’Unione Europea «Chieda conto all’Ungheria delle violazioni dei diritti umani attraverso un ammonimento formale e a proteggere le persone che fuggono dai loro paesi attraverso la creazione di percorsi più sicuri e legali, prima che arrivi l’inverno».

L’organizzazione umanitaria ha fatto sentire la propria voce in occasione di un vertice di alto livello convocato oggi a Lussemburgo. Secondo quanto rivelato da un documento diffuso oggi, il governo ungherese avrebbe speso «oltre 100 milioni di euro (il triplo di quanto destinato annualmente all’accoglienza dei richiedenti asilo n.d.r.) per costruire la barriera di filo spinato e applicare altre misure di controllo alla frontiera al fine di impedire a migranti e rifugiati di entrare nel paese, in violazione del diritto internazionale».

Secondo Amnesty international, «mancano poche bobine di fino spinato per sigillare completamente il confine ungherese con la Croazia e la Serbia e anche quelli che ancora ce la fanno a strisciare sotto le fessure quasi certamente verranno rinviati verso i paesi di transito dei Balcani».

Per John Dalhuisen, direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty,  «l’Ungheria si è trasformata di fatto in un paese nel quale la protezione dei rifugiati non è prevista, in evidente contrasto coi suoi obblighi sui diritti umani e con l’ovvia necessità di lavorare insieme agli altri stati membri dell’Unione europea e ai paesi balcanici per trovare una soluzione collettiva e umana alla crisi in corso».

Agli stati membri e all’Unione europea, Amnesty chiede di «prevenire ulteriori violazioni dei diritti umani in Ungheria attivando il meccanismo preventivo previsto dall’articolo 7.1 del Trattato dell’Unione europea, che consente al Consiglio europeo di ammonire uno stato membro quando vi sia “un evidente rischio di gravi violazioni” dello stato di diritto e dei diritti umani».

Secondo Iverna McGowan, direttrice ad interim dell’ufficio di Amnesty international presso le istituzioni europee, l’Ue «ha il potere di avviare una discussione formale con l’Ungheria circa il terribile trattamento inflitto a migranti e rifugiati e di dire chiaramente, prima che sia troppo tardi, che ‘quel che è troppo, è troppo’ a quegli stati membri che non mostrano rispetto per le norme che l’Unione europea si è data e per il diritto internazionale»

Violazione dei diritti umani che, secondo McGowan, sono passati «in secondo piano e gli stati membri e le istituzioni hanno costantemente delegato il compito a chi ha la responsabilità finale del rispetto dei diritti umani nell’Unione europea. Occorre invece una risposta più energica, anche da parte degli stati membri e delle istituzioni».

Nel mese di settembre, Amnesty ha avviato una raccolta di testimonianze dirette e ha osservato il comportamento della polizia nei confronti di migranti e rifugiati, oltre all’applicazione delle nuove norme in materia d’asilo.

«Il parlamento ungherese ha introdotto nuove, aggressive leggi – spiega Amnesty – che prevedono, tra l’altro, l’invio alla frontiera di soldati e poliziotti autorizzati a usare proiettili di gomma, gas lacrimogeni e strumenti pirotecnici. Lungo il confine con la Croazia sono stati posizionati veicoli blindati dotati di mitragliatrici e soldati muniti delle armi in dotazione alle forze speciali». Dalle testimonianze, continua Amnesty, emerge «il ripetuto ricorso alla forza eccessiva da parte delle autorità ungheresi».

Le ricerche condotte dall’organizzazione, inoltre, evidenziano una «massiccia discrepanza tra le spese per contrastare l’immigrazione e quelle per gestire le domande di asilo – spiega una nota -: nel 2015, a fronte di 98 milioni di euro destinati solo a posizionare il filo spinato lungo la frontiera con la Serbia, le autorità ungheresi hanno destinato la somma, tre volte inferiore, di 27,5 milioni di euro all’Ufficio per l’immigrazione e la nazionalità».

Costi «impressionanti» per «abominevoli operazioni anti-rifugiati», conclude Dalhuisen, «a spese dei diritti, della salute e del benessere di migliaia di persone. Questo denaro avrebbe dovuto essere più saggiamente investito per salvare vite umane e migliorare il futuro. È giunto il momento che dall’Unione europea arrivi una risposta solidale e collettiva».

photo credit: borders / frontiere via photopin (license)

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