Festa dei Popoli: Un cammino di pace

di Mariano Scuotri

AVERSA – Liban ha 16 anni. I suoi occhi bruni hanno assaporato l’inferno di un esodo durato oltre tre mesi attraverso  il deserto del Sudan. Un’ odissea il cui aition non era certo l’approdo nella propria patria (come quello di omerica memoria), ma il contrario: la fuga dal proprio mondo, dalla propria vita, alla ricerca di una felicità che si era già perduta nei fili elettrici utilizzati dai persecutori come strumenti di tortura, e che oggi lasciano i loro confusi quanto icastici segni nelle cicatrici che Liban si ritrova su tutto il corpo.

Ma oggi Liban può  tornare a coltivare la speranza di un’esistenza “normale”, con l’accezione con cui tale termine suole indicare la vita di un ragazzo che come tanti (come tutti?) desidera studiare, realizzarsi, sentirsi parte della comunità in cui opera quotidianamente. E affinché ciò accada non basterà la tanto discussa triplicazione dei fondi dell’operazione Triton, non basteranno i circa 600 siriani che potranno ora trovare rifugio nella Francia che forse ha da poco ritrovato nel suo spudorato nazionalismo l’orgoglio tuttavia multietnico che l’ha sempre contraddistinta, non basterà che la nave portaelicotteri inglese Bulwark solchi le rotte del Canale di Sicilia insieme alle imbarcazioni degli altri Paesi europei.

Oggi la rotta da seguire prioritaria è la trasformazione di quello che ai più pare un “peso” da scaricare sempre sul malgoverno altrui in un’occasione di conoscenza e allargamento dei propri orizzonti che si traduca in accoglienza e integrazione, senza tuttavia operare l’abuso “politicizzato” di cui spesse volte sono oggetto queste due inflazionate e temute parole.

La Festa dei Popoli è questo. È traduzione del nostro patrimonio culturale in elemento dinamico e attivo di un momento di commistione etnica che sia presupposto di un “cammino da compiere insieme nel segno della pace” come Papa Francesco ha sempre richiamato a fare, cattolici e laici, credenti e non.

Il fatto che la rassegna annuale che ha il proprio culmine nella manifestazione conclusiva organizzata dalla Diocesi di Aversa sia giunta alla sua quarta edizione è il sintomo tangibile di una rotta giusta. Una rotta che ora ben 25 scuole dell’agro aversano, insieme a Libera, al Comitato Don Peppe Diana, alla Comunità di Sant’Egidio in cooperazione con i centri di accoglienza e le comunità islamiche della Terra di Lavoro si trovano a seguire, verso una rinascita etica della considerazione dello straniero nelle nostre terre vittime della retriva misantropia (accompagnata però da un prepotente egocentrismo) infusa a partire dal secolo scorso da un male che risponde all’appellativo di camorra. Figure come quella di Jerry Essan Masslo, assassinato da una banda criminale il 24 agosto 1989 perché rifiutatosi di consegnare il provento del proprio umile lavoro di raccoglitore di pomodori, ci inducono a considerare la dignità dell’essere umano che meramente è calpestata dai nostri pregiudizi alimentati dal ginepraio degli interessi mediatici.

La nostra Carta Costituzionale, oltre a ribadire il senso civico dell’Italia nei confronti delle diatribe internazionali nelle quali vi siano massicce migrazioni (nell’articolo 10), nell’articolo 3, parla della “pari dignità” umana come condizione dell’individuo al quale siano riconosciuti gli inviolabili diritti umani di uguaglianza dinnanzi alla legge a prescindere dalla status sociale in cui versi: a questo concetto è in realtà sottesa una considerazione fondamentale, che vuole il lavoro e la volontà dell’uomo a contribuire al progresso della società in cui opera come premesse fondamentali per l’integrazione. Ciò vuol dire che la diffidenza, declamata molte volte come prudenza, è la causa negativa di quel “razzismo fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto” che in modo sconcertante trasuda da tali parole di Jerry Masslo (profetico nel proprio microcosmo) e che si rende carnefice della nostra stessa evoluzione.

La Festa dei Popoli ha questa ora forse non più utopica aspirazione di restituire dignità a chi l’ha persa nell’ignoranza altrui. E lo ha voluto fare riunendo il 3 maggio, a piazza Municipio ad Aversa, tutti sotto la stessa bandiera. Quella bandiera multicolore costituita dalle tradizioni e dalla fiera identità di ognuno. In cui ognuno si senta parte orgogliosamente del proprio popolo, e non di una pseudo-scientifica e anti-genetica “razza” posta al di sopra o al di sotto in una chimerica scala gerarchica, “razzista” appunto, creata appositamente dal becero populismo politico delle ideologie accentratrici di inizio XX secolo. E in cui, soprattutto, ognuno si senta parte di un unico popolo: la “razza umana” di Einstein.

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