50.000

La Striscia di Gaza è nuovamente teatro di orrori indicibili. Il tragico bilancio dell’offensiva israeliana ha superato la soglia dei 50.000 morti, un numero che grida vendetta e che testimonia l’incessante spirale di violenza che sta devastando la regione.

Mentre il mondo sembra distratto da altro, o è complice di un colpevole silenzio, il governo di Netanyahu prosegue imperterrito la sua “guerra totale“, incurante delle vite spezzate e della catastrofe umanitaria che si consuma sotto i suoi occhi.

L’esercito israeliano (Idf) ha intensificato i bombardamenti nel sud della Striscia, colpendo anche l’ospedale Nasser di Khan Yunis, un luogo simbolo di cura e rifugio, ora trasformato in un teatro di morte e distruzione.

L’Idf rivendica l’attacco, giustificandolo con la necessità di “eliminare terroristi di Hamas“. Ma chi sono i terroristi? Sono i bambini che muoiono sotto le bombe? Sono le donne che fuggono dalle loro case distrutte? Sono i medici che cercano disperatamente di salvare vite umane in ospedali trasformati in obitori?

Netanyahu continua a ignorare gli appelli internazionali e a silurare chiunque osi dissentire dalla sua linea dura. Ha licenziato il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, e si scontra con la procuratrice generale, mentre le piazze israeliane si riempiono di manifestanti che chiedono le sue dimissioni o, addirittura, la sua destituzione.

Nel frattempo, la popolazione di Gaza vive in un incubo senza fine. Privata di acqua, elettricità e beni di prima necessità, è costretta a fuggire dalle proprie case, sotto una pioggia di bombe e volantini che incitano al terrore.

Numerosi gli appelli, da varie parti del mondo, che chiedono un immediato cessate il fuoco. Anche Papa Francesco, dalla sua stanza d’ospedale, ha levato più volte la sua voce per implorare la fine delle ostilità.

Ma Netanyahu sembra sordo e – forte del sostegno di Trump – prosegue il suo piano per trasformare Gaza in una “riviera” del Medio Oriente, un progetto che sa di pulizia etnica e che calpesta i diritti umani dei palestinesi.

L’Alto rappresentante Ue, Kaja Kallas, si recherà in visita in Israele e nei territori palestinesi per cercare di riavviare il dialogo. Ma la sua sembra una missione disperata, di fronte all’ostinazione di un governo che ha scelto la via della forza e della sopraffazione.

La guerra a Gaza è una ferita aperta nel cuore dell’umanità. È un grido di dolore che non può essere ignorato. È un monito per tutti noi: la pace non si costruisce con le bombe, ma con il dialogo, la giustizia e il rispetto dei diritti umani.

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