L’Alta Corte britannica si appresta a pronunciare, nella tarda mattinata di oggi, il verdetto che deciderà se riaprire il processo o se consentire l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti. Un’attesa snervante, carica di tensione e di timori per il destino di un uomo che ha fatto della libertà di stampa la sua bandiera e, allo stesso tempo, per il destino di una società – la nostra – che dovrà decidere se continuare ad essere democratica oppure no.
Assange è un giornalista, un editore, un attivista che ha avuto il coraggio di svelare al mondo le atrocità commesse dalle potenze occidentali in Iraq, Afghanistan e in altri teatri di guerra. Ha pubblicato migliaia di documenti segreti che hanno acceso i riflettori su crimini di guerra, torture, abusi di potere e depistaggi.
Per questo coraggio, Assange è stato perseguitato, incarcerato e ostracizzato. Ha trascorso diversi anni rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana a Londra, per poi essere arrestato e, condannato, per aver violato le condizioni della libertà vigilata. Ora rischia l’estradizione negli Stati Uniti, dove potrebbe essere condannato a 175 anni di carcere per spionaggio.
La posta in gioco è alta. Non si tratta solo del destino di un uomo, ma del futuro della libertà di stampa e del diritto di informazione. Se Assange venisse estradato negli Stati Uniti, sarebbe un messaggio intimidatorio per tutti i giornalisti e gli attivisti che osano sfidare il potere.
Non possiamo permettere che questo accada. Dobbiamo far sentire la nostra voce in difesa di Assange e dei principi sacrosanti che rappresenta. La sua estradizione sarebbe una grave ingiustizia e un pericolo per la democrazia.
Uniamo le nostre forze per chiedere la sua liberazione.
Perché Assange non è un criminale!