Sono 488 i giornalisti detenuti nel mondo e 46 i professionisti dei media uccisi in un anno. È quanto rivela l’organizzazione non governativa Reporter Sans Frontières (RSF).
L’ong, con sede a Parigi, che promuove e difende la libertà di informazione e la libertà di stampa ha pubblicato, come di consueto, il suo RoundUp, il rapporto annuale sulle condizioni di lavoro dei giornalisti in tutto il mondo.
L’alto numero di reporter incarcerati, «il più alto numero di sempre», spiega il rapporto, è dovuto principalmente a tre paesi: Myanmar, Bielorussia e Cina, «i cui governi sono indifferenti al desiderio di democrazia dei loro cittadini» ed attuano politiche di sicurezza nazionale che prevedono il carcere anche per chi fa informazione.
La triste top five, dei giornalisti arrestati, vede sul podio:
Cina (127),
Myanmar (53),
Vietnam (43),
Bielorussia (32)
e Arabia Saudita (31).
Da registrare anche un aumento delle giornaliste rinchiuse in cella, ben 60, con un picco nel Myanmar dove sono 17 quelle private della libertà contro 15 colleghi maschi.
Inversione di tendenza, per fortuna, per quello che riguarda le uccisioni.
46 vite sacrificate sull’altare della libertà di stampa, però, restano un sacrificio ed un prezzo troppo alto da pagare. Anche perchè, nella maggior parte dei casi si tratta, con conflitti e fronti militari stabilizzati, di deliberate esecuzioni.
Messico ed Afghanistan si riconfermano, anche quest’anno, i Paesi più pericolosi per i giornalisti, con 7 e 6 morti, seguiti da Yemen e India al terzo posto, con 4 giornalisti uccisi.
Per leggere il rapporto completo (in lingua inglese) [ clicca qui ]