di Flavia Mancini
Dopo tanto parlare di varianti pericolose e variazioni genetiche di SARS-CoV-2 in Italia si è scoperta una metodologia per classificare tutte le varianti del virus, e conoscere meglio il nemico invisibile con il quale ci confrontiamo da più di un anno. Lo studio, tutto italiano, ha coinvolto diversi centri di ricerca sul territorio della penisola, ed è stato pubblicato sulla rivista scientifica Molecular Biology and Evolution. Il team dei ricercatori è guidato dal’Ibiom, un istituto del Cnr, in collaborazione con l’Università di Bari e l’Università di Milano e con il supporto della piattaforma bioinformatica Elixir Italia.
Sì sa che conoscenza è potere, ecco perché è importante il risultato di questo studio che ci consente di conoscere meglio il virus del Covid: la ricerca ha permesso di caratterizzarne le dinamiche evolutive attraverso l’analisi comparativa delle sequenze di oltre 180.000 genomi virali isolati da diversi centri di ricerca in tutto il mondo. Basandosi su questi genomi i ricercatori propongono un metodo che consente di monitorare l’attuale distribuzione spazio-temporale del virus, e predirne la diffusione.
«Gli autori hanno identificato, a diversi intervalli di tempo durante il corso della pandemia, un insieme di mutazioni nel genoma virale a elevata prevalenza e che rimangono stabili. Secondo il metodo proposto, i nuovi tipi di SARS-CoV-2 vengono cioè identificati sulla base della contemporanea presenza, in uno stesso tipo di sequenza genomica, di due o più mutazioni caratteristiche e prevalenti, il concetto prende il nome di aplotipo. Per estensione i diversi tipi di genomi virali sono stati definiti aplogruppi – spiega il coordinatore dello studio Graziano Pesole – le analisi comparative dei genomi virali – isolati in Cina tra il 26 dicembre 2019, quando il virus è apparso per la prima volta, e il 20 gennaio 2020 – hanno dimostrato che il tasso di mutazione di SARS-Cov-2 è leggermente inferiore ad altri virus della stessa famiglia e ha identificato le varianti genetiche di diversi sottotipi, ciascuno dei quali associato a una certa prevalenza geografica. Analisi più aggiornate, basate su oltre 800.000 genomi disponibili, suggeriscono che attualmente siano in circolazione in tutto il mondo almeno 119 aplogruppi. Lo studio ha consentito inoltre di confermare l’ipotesi che la diffusione del virus sia da pre-datare tra settembre e novembre 2019».
Un altro elemento che emerge da questo studio, in parte confortante, è che la gran parte della diversità genetica del virus non dovrebbe essere associata a particolari cambiamenti delle dinamiche del contagio né a una diversa sensibilità ai vaccini. Inoltre in questo campo gioca un ruolo molto importante la condivisione dei risultati e la politica di open data che sempre più caratterizza la scienza del futuro.
«Date le nostre attuali e limitate conoscenze su SARS-CoV-2, che continuerà a evolvere e mutare il proprio genoma – conclude Pesole – appare necessario avviare una campagna di sequenziamento genomico ripetuta nel tempo di un campione significativo, come già accade in UK, Danimarca e Australia, condividendone i dati secondo i principi Open Science supportati dal portale (www.covid19dataportal.it) recentemente allestito dal progetto ELIXIR Italia. Il monitoraggio e l’identificazione di nuovi sottotipi virali in diverse aree geografiche è una fonte cruciale per contrastare la diffusione della pandemia».