C’è un’Italia che resiste, nonostante tutto.

La geografia della speranza | Autore: Martina di Pirro | Editore: EGA-Edizioni Gruppo Abele | Collana: le staffette | Anno edizione: 2020 | EAN: 9788865793336

AOSTA – C’è un’Italia che resiste, nonostante tutto. È un’Italia di associazioni, di cooperative sociali, di società civile che non si arrende, quotidianamente, nonostante le numerose difficoltà. Come unico obiettivo, quello di “contrastare le disuguaglianze, promuovere ma soprattutto praticare forme di partecipazione cooperativa, favorire la rinascita di un pensiero libero e critico”, come scrive Marco Revelli nella postfazione al volume di Martina Di Pirro, La geografia della speranza, edito da Edizioni Gruppo Abele.

Quello della Di Pirro è un viaggio da Nord a Sud nella penisola, andando alla scoperta di queste esperienze eroiche ma di straordinaria quotidianità, delle quali poco si conosce ma che molto agiscono e si adoperano per un cambiamento vero e profondo.

Si comincia da Palermo, dove ha sede la comunità Emmaus, guidata da Nicola Teresi, che pone l’accento su come lo Stato deleghi sempre più al Terzo Settore (lasciandolo, per altro, privo di mezzi e risorse) tutto quello che dovrebbe essere a carico dello Stato stesso, “ovvero le condizioni dei bisognosi, dei senzatetto, dei migranti”. Si va poi a Marsala, nel raccontare l’esperienza del Centro sociale, guidato da Salvatore Inguì, che ha dato nuova vita al quartiere Sappusi: lo sguardo è lungo, sul futuro, laddove si riesce a capire che “se uniti, se ascoltati, i territori hanno già le risposte” per contrastare la povertà, rendendo dignitosa la vita di tutte e tutti.

Ci si sposta poi a Crotone, dove lavora la cooperativa Kroton Community, mossa, nella sua attività, dall’idea che “la povertà non esiste senza le persone che ne soffronto”; non c’è possibilità di arginarla se non la si personifica, andando nelle strade, conoscendo le persone, dando un volto alle narrazioni. Anche a Bari si sa che “la mafia è tanto più forte quanto più ampia è la povertà e la marginalità sociale” e anche lì c’è chi lavora per ridurre il terreno fertile per la mafia: in particolare la Di Pirro ci porta a conoscere l’esperienza di recupero cibo di “Avanzi Popolo”, progetto ideato e sostenuto dall’Associazione Farina 080. A Napoli, in un luogo dove lo spazio urbano diventa concreto esempio di cosa intendesse Henri Lefebvre con il suo ideale de Il diritto alla città, lavora la Fondazione Famiglia di Maria, con l’obiettivo di prendersi cura del disagio socio-economico di minori e famiglie.

A Roma, “la capitale delle disuguaglianze”, conosciamo varie realtà impegnate su tanti fronti: il Coordinamento dei Docenti contro mafie povertà e razzismo e Binario 95, polo sociale di accoglienza e supporto per persone senza fissa dimora, la Casa Internazionale delle Donne e la Casa delle Donne Lucha y Siesta, recentemente al centro di polemiche rispetto alle intimidazioni di sfratto da parte dell’Amministrazione comunale capitolina.

Ma saliamo anche al Nord, perché è un pregiudizio oramai evidente che il disagio socio-economico sia solo prerogativa del Mezzogiorno. Così, a Trezzano sul Naviglio, conosciamo l’esperienza della cooperativa RiMaflow, una sorta di Società di mutuo soccorso (esplose nel 1800) che, partendo con 15 operai, ha ricendicato la gestione dell’area della vecchia fabbrica Maflow, chiusa e decentrata in Polonia: “Terre occupate, mutuo appoggio, attività solidali e spazi recuperati sono stati il punto da cui partire per costruire un futuro possibile nei confronti di chi si è visto privato di tutto”. A Castelfranco Veneto capiamo che “la felicità individuale passa per la felicità collettiva”, conoscendo le esperienze di Famiglie in Rete, mentre il viaggio (parziale, fortunatamente, che lascia fuori infinite altre narrazioni di speranza) si conclude a Torino, con il Gruppo Abele, fondato da Don Luigi Ciotti già nel 1965, e con la Rete dei numeri pari: “In un mondo in cui la sicurezza sembra essere il valore supremo, alcune realtà territoriali raccontano una storia diversa. […] le reti territoriali lavorano per riprendersi i propri spazi e i diritti sociali, ambientali, umani”.

La Di Pirro analizza e descrive, in queste narrazioni esplosive e sovversive, anche come la pandemia di Covid19 abbia cambiato le carte in tavola, incrementando le difficoltà ma, al tempo stesso, ridestando nuove forme di resistenza e di resilienza, facendo adattare le specificità di ciascun’iniziativa alle mutate condizioni del contemporaneo.

Il Covid19, secondo le parole di Misha Maslennikov, di Oxfam Italia, è una vera e propria “pandemia della povertà, che ha esposto a rischi più alti di contagio i lavoratori ‘essenziali’, il segmento, in media, peggio retribuito e meno tutelato dalla forza lavoro, e reso palesi la fragilità o l’assenza, in molti Paesi, di adeguati reti di protezione sociale per i più poveri che vedono così fortemente pregiudicata la propria capacità di superare, assistiti e in sicurezza, la crisi”. 

Quelle narrate in “La geografia della speranza” sono piccole azioni, forse, esigue se calate nel sistema ben più colossale e globale dove siamo immersi; sono però narrazioni scandalose (intese nel senso etimologico, come pietre d’inciampo) e come nella fiaba del colibrì, però, è evidente che anche un gesto minimo sia indispensabile per la cura del bene comune, perché può forse diventare l’incoraggiamento per tante e tanti nell’assumersi delle responsabilità e sentire l’urgenza di portare un contributo importante. Ai drammi strutturali della nostra società, alle nuove crisi così concrete e inattese, tante realtà rispondono e agiscono. Da qua nasce la speranza: nel ripensare al nostro intero mondo per renderlo un po’ più giusto ed equo.

Giulio Gasperini

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