E venne finalmente il giorno dei decreti sicurezza!
Gli slogan si sprecano, da un lato c’è chi canta vittoria, dall’altro chi accusa il Governo di voler favorire clandestini e business. Come di consueto, proviamo a fare chiarezza, scansando la sterile propaganda, cercando di capire nella quotidianità cosa comporterà questo decreto.
Il testo era pronto da tempo ed è rimasto nel cassetto in attesa delle elezioni, sottoposto poi al solito tira e molla dei vari alleati di governo, ed è diventato un nuovo decreto, dal titolo “decreto immigrazione” che ha visto la luce lunedì 05 ottobre, in tarda serata.
Come al solito, si tratta di un provvedimento frutto di tanti compromessi, secondo la linea già seguita da questo governo che, certamente, non ci ha abituato a delle riforme epocali.
Una cosa è certa, i decreti sicurezza non sono stati cancellati ma modificati.
Facendo un piccolo passo indietro. I decreti sicurezza, nella storia recente, sono quattro. I due di Minniti su immigrazione e sicurezza del 2017. I due di Salvini del 2018 e 2019. L’opera di Salvini andava in continuità col quella del Governo Gentiloni, ed è seguita da questa modifica che, nei fatti, non smantella ma prova ad aggiustare.
Partiamo dalle criticità evidenziate da diversi esperti.
La prima è stata sicuramente la lunga attesa. I rilievi del capo dello stato Sergio Mattarella risalgono al l’8 agosto del 2019, nella lettera ai presidenti del Senato, della Camera e del Consiglio con la quale accompagnava la promulgazione della legge di conversione del secondo decreto sicurezza. I decreti Salvini sono stati operativi per troppi mesi, inclusi quelli dell’emergenza Covid-19, e hanno creato tantissimi problemi al sistema dell’accoglienza, al lavoro degli operatori del settore, alla vita dei richiedenti asilo, a chi voleva chiedere la cittadinanza italiana.
Altre criticità segnalate. La riforma della legge sulla cittadinanza, che riduce i tempi a tre anni (erano quattro) ma non riporta il testo alla sua formulazione originaria.
Non è neanche abrogata la norma che prevede la revoca della cittadinanza per chi l’ha acquisita, in caso di condanna definitiva per reati collegati al terrorismo.
In materia di salvataggi, rimane la facoltà di vietare l’ingresso alle navi delle ONG, subordinando il divieto ad una serie di garanzie (es. il fatto che il soccorso sia svolto nel rispetto delle indicazioni effettuate dalla competente autorità e sia prontamente comunicato) mentre le sanzioni amministrative divengono delle multe, con passaggio all’ambito penale.
Resta in piedi anche il sistema Hotspot, istituzionalizzato dal decreto Minniti nel 2017, con il trattenimento nel CPR dello straniero che attraversa in maniera irregolare la frontiera e rifiuta di farsi identificare.
Sul piano della Sicurezza, viene dato l’avvio al Daspo urbano, non è cancellata la ri-penalizzazione del blocco stradale punito nè l’inasprimento delle pene per il reato di occupazione.
E’ molto positivo, invece, per Gianfranco Schiavone dell’Asgi il fatto che “venga introdotto un nuovo divieto di espulsione in caso di violazione di diritti umani nel paese di origine, ma anche in base al livello di integrazione raggiunta in Italia. Non si potrà rimpatriare, salvo motivi di sicurezza nazionale, chi ha una vita strutturata in Italia. Questo è un passo in avanti enorme”.
Positivi sono anche il ritorno l’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo e la reintroduzione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che sarà biennale e si chiamerà “protezione speciale”.
Il sistema di accoglienza Sprar/Siproimi diventa “Sistema di accoglienza e integrazione” (SAI), gestito dai comuni come sistema prioritario.
Ombre e luci per un decreto che non ha soddisfatto molti addetti ai lavori ed esperti di sicurezza e immigrazione. Federica Borlizzi (Alterego – Fabbrica dei diritti): “Non so come dire ma possiamo anche non esultare per queste modifiche. Possiamo limitarci a prendere atto che alcune norme vergognose e incostituzionali sono state abrogate e che si è ritornati al sistema previgente. Un sistema che, tuttavia, aveva già le sue ingiustizie e distorsioni.”.
Il Decreto Immigrazione, strutturato in dodici articoli, dovrà essere convertito in legge dal parlamento che potrà apportare ulteriori modifiche in sede di discussione.