I can’t breathe. Il razzismo e il grido di tutti i Floyd del mondo

“Non riesco a respirare, per favore, lasciatemi”, queste sono state le ultime parole pronunciate da George Floyd, l’afroamericano ucciso soffocato dal peso di un poliziotto a Minneapolis nel Minnesota.

Le immagini del video dell’assassinio del 46enne hanno fatto il giro del mondo e stanno indignando l’opinione pubblica e la parte per bene dell’America a stelle e strisce. Ma veniamo ai fatti. 

Gli agenti di polizia ricevono una segnalazione di un uomo, nero (sì in questa vicenda è importante sottolineare il colore della pelle), seduto in un’auto, che, stando alle ricostruzioni circolate, sembrava essere “sotto effetto di stupefacenti”. I poliziotti individuano l’auto e intimano all’uomo di scendere. Lui si rifiuta e oppone resistenza. Allora gli agenti lo costringono con la forza a uscire dal veicolo e, nel tentativo di ammanettarlo, lo bloccano a terra. Uno dei due uomini in divisa si mette su di lui premendogli il ginocchio tra il collo e il torace così da non farlo respirare bene tanto che George Floyd soffre e continua a ripetere “Lasciatemi, non riesco a respirare”. Il poliziotto è completamente sordo a questa richiesta di aiuto e continua a premergli il ginocchio addosso fino a che la vittima non parla e non respira più. Accanto all’omicida c’è un altro poliziotto che rimane completamente indifferente e impassibile alla scena raccapricciante che si sta consumando davanti ai suoi occhi mentre un gruppo di persone si chiede perché non lasciano in pace George. Quando arrivano i soccorsi, l’ ”uomo nero” è praticamente già morto.

Ucciso dalla polizia in un’America dove gran parte delle persone devono ancora fare i conti con un problema molto grave, il loro estremo razzismo. Ancora oggi nel modernissimo 2020. La polizia ha aperto un fascicolo di indagine e quattro poliziotti sono stati licenziati. 

Il sindaco di Minneapolis, Jacob Frey, ha dichiarato: “Quello che ho visto è terribile. Quell’uomo non avrebbe dovuto morire. Essere un nero in America non dovrebbe essere una sentenza di morte”. Eh già, non dovrebbe esserlo ma a quanto pare, spesso, lo è.  

In queste ore in centinaia sono scesi in piazza per protestare contro la morte di George Floyd. Il clima si è subito infuocato con gli agenti che sono ricorsi al lancio di gas lacrimogeni per fermare i manifestanti sebbene la maggior parte delle manifestazioni di protesta siano state pacifiche. C’è stata grande indignazione e si è riacceso il dibattito sul razzismo presente tra i poliziotti americani. 

Anche personaggi noti del mondo dello spettacolo e dello sport hanno espresso il loro parere: “È la cosa più disgustosa e straziante che abbia visto da molto tempo a questa parte. Fuck the Police! Sì lo dico, non sono interessata a essere politicamente corretta. Sono interessata alla giustizia”. Ha scritto la cantante Madonna sul suo profilo Instagram, pubblicando il video dell’esecuzione di Floyd, perché di un’esecuzione si è trattato. Anche la cantante australiana Sia ha scritto il suo duro e giusto commento: “George Floyd è stato ucciso. Il poliziotto va incriminato. Perché cazzo non è stato ancora fatto? Fate qualcosa”. 

Ieri il primo cittadino della città dello Stato del Minnesota, Jacob Frey ha detto, in un’intervista alla ‘Cbs’: “Non sono un pubblico ministero ma voglio essere chiaro: l’agente che ha effettuato l’arresto ha ucciso qualcuno. E questi sarebbe vivo se fosse stato bianco”. 

Sul caso George Floyd è intervenuta anche Michelle Bachelet, l’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani, che ha invitato gli USA a “fermare gli omicidi di afroamericani da parte della polizia”.

In un primo momento proprio la polizia aveva minimizzato, chiamando incidente quello che invece è stato un omicidio: George Floyd, arrestato per aver usato un assegno contraffatto in un negozio, dava l’impressione di soffrire semplicemente di “problemi medici” e non citando il fatto che un agente lo tratteneva per terra con il peso del suo corpo, premendogli il ginocchio sul collo. 

Alcune centinaia di persone si sono riunite davanti all’abitazione del poliziotto, Derek Chauvin, che ha ucciso il 46 enne, intonando a gran voce cori in cui chiedevano che venisse arrestato. Le mura della sua casa sono state dipinte con scritte come “killer” e “assassino”. Una parte degli Stati Uniti è rimasta incredula davanti all’ennesimo crimine perpetrato nei confronti di un uomo, solo per il colore della pelle ma purtroppo resta ancora un’altra parte d’America, quella più “sporca”, ancora da “pulire” ed educare. E non siamo convinti che tra queste persone vinca il buon senso.

Il grido straziante di tutti i George Floyd del mondo e quella richiesta d’aiuto “I can’t breath” continuano a riecheggiare nel silenzio assordante di chi non riesce o meglio non vuol sentire, con le orecchie otturate e gli occhi accecati da quello che semplicemente e tristemente si chiama razzismo.

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