Ecomafie: Business immune al Covid19

C’è un’azione che compiamo abitualmente, senza alcuna interruzione causa Covid. Sto parlando del gesto comune di portare fuori i nostri rifiuti, suddivisi tra plastica, carta, vetro, secco residuo e umido.

Preparati con cura e messi fuori dalle nostre case per essere condotti laddove non possano disturbare. Da quel momento, inizia un percorso appetibile per molti, che già trent’anni fa venne racchiuso nell’espressione “Trasi munnizza e n’iesci oro”.

Un business da milioni di euro, ricco quanto la filiera dei rifiuti che passa attraverso “il ciclo della produzione, dell’assegnazione dei servizi, della raccolta, del trasporto, del trattamento e infine dello smaltimento”.

Tra i vari “attori” individuati nella relazione semestrale 2019 della DIA, ci sono “gli enti pubblici che assegnano i servizi di raccolta, i produttori dei rifiuti, gli intermediari, i trasportatori, gli impianti di stoccaggio e di trattamento dei rifiuti, i laboratori di analisi e gli smaltitori”.

Un’analisi della realtà che non deve relegare tali attori del così detto crimine ambientale in un disegno criminale mafioso, in quanto si tratta di un fenomeno che “coinvolge, trasversalmente, interessi diversificati”, ma andiamo con ordine: in cima abbiamo il produttore del rifiuto, ovvero l’imprenditore che deve disfarsi dei quantitativi prodotti dalla propria azienda e che, a norma di legge, “deve qualificare il rifiuto in ragione del processo da cui si origina e quindi stabilire il tipo di smaltimento, attribuendo un codice CER” (Catalogo Europeo dei Rifiuti). Nella scelta d’impresa deve tendere a economizzare i costi e ad imporsi sul mercato, scelta che molto spesso – come si legge nella relazione – “coincide con la volontà di liberarsi illegalmente dei rifiuti per abbattere i costi di produzione”.

In questo meccanismo, eventuali comportamenti illeciti vengono giustificati dal fattore urgenza: “In particolare, gli enti locali sovente appaiono mossi dalla esigenza di trovare la soluzione più sollecita alla questione dello smaltimento dei rifiuti, sia per risolvere conflitti sociali sia per ovviare a esposizioni di responsabilità politica o amministrativa”. A questo punto si inseriscono vere e proprie società di intermediazione, incaricate di individuare le soluzione più convenienti per uno smaltimento a basso costo, da parte di “imprese senza scrupoli”.

Mentre i “mediatori” si danno da fare sia in Italia che all’Estero per cercare condizioni vantaggiose, vengono affiancati in tutto questo dai soggetti declassificatori, ovvero coloro che si occupano di predisporre “falsa documentazione di accompagnamento” atta a declassificare i rifiuti per “renderli compatibili alla riutilizzazione, ad esempio come materiale per interventi di ricomposizione ambientale o per essere sversati come concime nei terreni agricoli”.

Una certificazione alterata prodotta da consulenti, che ha effetto su due direzioni: rendere i rifiuti compatibili con le autorizzazioni possedute dagli autotrasportatori, dagli impianti di stoccaggio e dagli smaltitori e diminuire il pagamento della cd. ecotassa (tributo regionale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi1689).

Altra categoria indispensabile è quella degli autotrasportatori “che più degli altri sono a conoscenza di tutto l’iter dei rifiuti”. Nella relazione si legge infatti che “le società di trasporto agiscono su commissione degli intermediari, con cui non di rado purtroppo condividono la falsificazione cartolare dei documenti di accompagnamento”.

Figure “ponte” tra le diverse fasi della gestione dei rifiuti: dalla produzione/raccolta, allo stoccaggio intermedio, sino allo smaltimento finale, che sia legale o illecito. Non ultimo in ordine di importanza è il ruolo del sito di stoccaggio e la fase finale dello smaltimento, siti spesso “non autorizzati al trattamento di determinate tipologie di rifiuti (quali le cave dismesse o aree di interramento) ove i rifiuti vengono letteralmente tombati”.

Arriviamo così alla questione “incendi casuali” dei rifiuti o dei siti dove sono custoditi: nella relazione concernente “Il fenomeno degli incendi negli impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti” (gennaio 2018), e dati analizzati per il triennio 2015-2017 evidenziano che il 47,5% degli incendi si è verificato al nord (57), il 16,5% al centro (31), il 23,7 al sud (27) ed il 12,3% nelle isole (15, tutti in Sicilia). Nel 2018, invece, si sono registrati ulteriori 32 eventi analoghi al nord, 6 al centro, 17 al sud e 5 nelle isole (4 in Sardegna ed 1 in Sicilia)”.

Capannoni abbandonati che prendono fuoco improvvisamente, e rispondono alla “necessità di smaltire grandi quantità di rifiuti da parte di aziende spregiudicate, operanti, in tutto o in parte, abusivamente”, massimizzando gli introiti o nascondendo, attraverso la distruzione degli scarti di lavorazione, quelle che la DIA riconduce a produzioni non dichiarate, utili a “mantenere la situazione di emergenza che obbliga le pubbliche amministrazioni ad intervenire con affidamenti diretti (senza cioè gare d’appalto)”.

Da dimenticare inoltre i vecchi flussi di rifiuti che vanno dal nord “produttivo” al sud “discarica”: le rotte del traffico illegale dei rifiuti procedono ormai anche per la direttrice nord-nord, come “nel settentrione, dove i rifiuti sono smaltiti spesso in discariche non autorizzate”, vedi le cave. Dal nord al sud, dal nord al nord fino al centro, così come dall’Italia verso l’Estero, con un’esportazione di rifiuti di circa 355 mila tonnellate di rifiuti del circuito urbano e 271 tonnellate di rifiuti pericolosi (dati ISPRA 2017).

Caso a parte la Sardegna, dove non esistono discariche per i rifiuti pericolosi e non risultano, fino al 2018, indagini relative al traffico organizzato dei rifiuti, ma dove tuttavia, sempre nel 2018 si “è assistito ad un incremento degli incendi (prevalentemente di origine dolosa) in danno di impianti formalmente autorizzati alla gestione di rifiuti e, soprattutto, di capannoni industriali dismessi ove erano “stipate”, abusivamente, ingenti quantità di immondizia”.

Risale al 6 gennaio 2019, l’arresto, da parte del Corpo forestale della Regione Sardegna, sulla scorta delle fonti di prova acquisite nel corso dell’operazione “Fogu Malu”, di un soggetto che “era solito raccogliere, trasportare e smaltire, in una discarica abusiva, rifiuti di vario genere provenienti da civili abitazioni, che poi incendiava generando fumi tossici. L’indagine era stata avviata a seguito del verificarsi, nella stessa area, di numerosi incendi di rifiuti abbandonati (21 tra il 2017 ed il 2018)”.

Necessità e urgenza costituiscono lo stato ideale per attrarre gli attori della gestione illegale dei rifiuti, confermata – all’interno della relazione – in costante espansione, grazie “all’azione famelica di imprenditori spregiudicati, amministratori pubblici privi di scrupoli e soggetti politici in cerca di consenso, nonché di broker, anche a vocazione internazionale, in grado di interloquire ad ogni livello”. Da qui le conclusioni appello della relazione, dove si richiedono “a tutti i livelli, scelte di civiltà e di assunzione di responsabilità, non dilazionabili, non rinviabili”.

Elena Mascia

photo credit: Ithmus Palermo 2011 via photopin(license)

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