I due organismi della Conferenza Episcopale Italiana, Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, proseguono l’analisi del fenomeno migratorio con l’annuale pubblicazione del Rapporto Immigrazione.
La ventottesima edizione ha un titolo molto significativo, “Non si tratta solo di migranti”.
“Dobbiamo rammendare il tessuto sociale dell’Italia: non si tratta solo di immigrati, ma del perpetuarsi della divisione tra “noi” e “loro”, tra italiani e stranieri, tra i “nostri” problemi e i “loro” problemi, tra i “nostri” sogni e i “loro” sogni” ha commentato il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della CEI.
Il Rapporto include una sezione internazionale, che inquadra le dinamiche a livello globale ed europeo, ed una parte nazionale che si focalizza sulla presenza in Italia degli oltre 5 milioni di cittadini stranieri, attraverso 7 macro-aree, lavoro, scuola, cittadinanza, salute, devianza, povertà, appartenenza religiosa.
Elemento principale del dossier sono, come sempre, i dati, non gettati in pasto al lettore ma arricchiti da voci di esperti che contribuiscono a diversi significativi approfondimenti.
Dato che si cerca un nuovo linguaggio con cui comunicare l’immigrazione, è presente un focus sui media nazionali. Già nella scorsa edizione, si era visto che in dodici anni erano aumentati sui media nazionali i riferimenti all’immigrazione di oltre dieci volte, passando dalle 380 notizie del 2005 alle 4.268 del 2017. Durante la campagna elettorale delle elezioni politiche del 2018 si sono registrati 787 commenti e dichiarazioni di incitamento all’odio, il 91% delle quali ha avuto come oggetto i migranti.
Nel 2017 sono 257,7 milioni le persone che nel mondo vivono in un Paese diverso da quello di origine e i migranti rappresentano il 3,4% dell’intera popolazione mondiale, rispetto al 2,9% del 1990, mentre dal 2000 al 2017 il numero delle persone che hanno lasciato il proprio Paese di origine è aumentato del 49%.
L’Italia conta 5.255.503 cittadini stranieri regolarmente residenti (8,7% della popolazione totale) e si colloca al terzo posto nell’Unione Europea. Diminuiscono gli ingressi per motivi di lavoro, mentre aumentano quelli per motivi di asilo e protezione umanitaria. Dal 2014, la perdita di cittadini italiani (677 mila persone) risulta compensata dai nuovi cittadini per acquisizione di cittadinanza (oltre 638 mila) e dall’aumento di cittadini stranieri residenti (oltre 241 mila unità).
La natalità straniera (-3,7% nel 2018) diminuisce, ed è sempre più simile a quella italiana. Nell’anno scolastico 2017/2018 gli alunni stranieri nelle scuole italiane sono 841.719 (9,7% della popolazione scolastica totale), in aumento di 16 mila unità rispetto all’anno scolastico 2017/2018. Le maggiori incidenze si riscontrano nelle regioni del Nord, con il valore massimo in Lombardia, e sono legate a possibilità lavorative e di vita migliori.
Si registra, però, un nuovo fenomeno, a causa della crisi economica, molte famiglie immigrate in Italia si spostano verso i Paesi del Nord Europa o ritornano nel Paese d’origine. La crescita di studenti, sempre più bassa nel corso degli ultimi 6 anni, è sostenuta da una nuova tipologia di allievi, i minori stranieri non accompagnati, di cui, però, non si conoscono ancora i dati esatti.
In calo rispetto al 2017 (-3,7%) le nascite di bambini da genitori entrambi stranieri (14,9% del totale delle nascite), per effetto soprattutto della diminuzione dei nuovi arrivi e dei flussi femminili in entrata. Diminuiscono anche le acquisizioni di cittadinanza (-23,2%).
Al 31 dicembre 2018 i detenuti stranieri presenti negli istituti penitenziari italiani sono 20.255, su un totale di 59.655 persone ristrette (33,9%), dato sostanzialmente stabile.
La maggiore presenza di detenuti ha un’età compresa è tra i 30 e i 34 anni e, dato importante, nella popolazione carceraria due ragazzi su tre con un’età compresa tra i 18 e i 20 anni non sono cittadini italiani (66%).
Dal punto di vista sanitario, il profilo di salute dei migranti va sempre più caratterizzandosi per condizioni di sofferenza. In generale alla salute dei migranti concorrono 3 elementi, le condizioni di vita nel Paese di provenienza (condizioni pre-migratorie), il percorso migratorio e i livelli di accoglienza e inclusione nel Paese di arrivo (condizioni post-migratorie).
I migranti si ammalano non solo di malattie, ma anche di esclusione sociale, di fallimento del proprio progetto migratorio, di povertà e, sempre più spesso, di difficoltà di accesso ai servizi socio-sanitari.
Diversamente dal sentire comune, i dati al 2016, anno record di sbarchi, avevano comunque visto una diminuzione dei casi di malattie infettive, come Tubercolosi e AIDS.
Dati oggettivi che dovrebbero, purtroppo senza successo, ridimensionare i timori soggettivi e stimolare interventi di inclusione e di accessibilità ai servizi, in particolare quelli sanitari.
“Dobbiamo togliere spazi d’ombra e aprire spazi di luce nei quali possa affermarsi una cultura nuova. I pericoli non si esauriscono nella tratta degli esseri umani o nella spesso tragica traversata del Mediterraneo, ma dobbiamo tornare a quello che ci ha detto il Papa Francesco lo scorso anno: accogliere, proteggere, promuovere, integrare” ha chiosato il presidente della CEI.
Giovanni D’Errico