Il 06 Settembre 2019 l’ex presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe è morto a Singapore all’età di 95 anni, non in esilio, benché avesse perso il potere nel 2017 con un quasi-golpe, ma ufficialmente per curarsi in gran riserbo.
Mugabe ha incarnato le contraddizioni del potere in Africa, è stato sia un eroe liberatore che un sanguinario dittatore, ha contribuito a creare quel paese che ha poi guidato, messo ai suoi piedi e ridotto al fallimento.
Nato nel 1924 a Harare, nell’allora Rhodesia meridionale, laureato in scienze politiche in Sudafrica, dopo aver partecipato a diversi movimenti e partiti per la liberazione nazionale, nel 1964 viene arrestato e condannato a dieci anni di carcere. Dopo essere stato liberato, nel 1976 è nel Patriotic Front (PF) che nel 1979 inizia i negoziati coi leader della Rhodesia meridionale che portano nel 1980 all’indipendenza del paese, rinominato Zimbabwe.
Mugabe diviene primo ministro, poi presidente dal 1987, a seguito dell’abolizione della figura del primo ministro.
Lo ha condannato il suo ultimo azzardo, per spingere al suo posto la moglie Grace, di 41 anni più giovane, alle presidenziali del 2018, ha esautorato il suo ex-delfino e vice-presidente Emerson Mnangagwa, attuale presidente, e provocato l’intervento dei militari, che hanno occupano la sede della televisione nazionale e messo agli arresti domiciliari.
37 anni di potere, cosa hanno determinato?
Oggi l’80% della popolazione dello Zimbabwe vive sotto la soglia di povertà, il tasso di disoccupazione raggiunge il 90%, si contano meno di 0,5 medici per circa 100mila persone e la speranza di vita, a causa anche della diffusa piaga dell’Aids, è di 54 anni per gli uomini e 53 per le donne.
Nel 1980 lo Zimbabwe aveva la rete stradale e ferroviaria tra le migliori dell’Africa e città tra le più pulite, un’agricoltura diversificata che esportava in tutto il mondo, risorse abbondanti (oro, cromo, amianto, platino, carbone) nel sottosuolo.
Mugabe è riuscito a sfasciare tutto, dando il colpo di grazia, a fine anni 90, con una scellerata riforma agraria con la quale ha cacciato 4000 proprietari terrieri bianchi (suoi nemici politici) senza però sostituirli, provocando un’enorme carestia, con tre milioni di persone ridotte a dipendere da un aiuto alimentare permanente, che, però, il governo distribuiva solo a chi era fedele al potere.
Nel luglio 2008 l’inflazione era al record mondiale del 231.150.888,87 per cento, tanto che nel 2009 la moneta cessò di essere emessa, sostituita da valute straniere.
Mugabe ha infierito non solo contro i nemici “bianchi europei” ma anche contro i neri non di origine locale, togliendo la cittadinanza a ben 2 milioni di loro (uno su quattro), domando una rivolta nel Matabeleland al costo di 20.000 morti, lo stesso numero di invitati alla festa per il matrimonio con sua moglie Grace (soprannominata “First shopper”, “Gucci Grace” o “DisGrace”)
Partito unico, manipolazione del voto e repressione, Robert Mugabe ha incarnato il paradigma del dittatore populista del Terzo Mondo, perdipiù omofobo e razzista.
Chiudiamo con le parole di Frantz Fanon che, ne I dannati della terra, sua opera più famosa pubblicata del 1961, aveva ampiamente previsto l’ascesa dei primi presidenti padroni africani come Robert Mugabe, il congolese Mobutu Sese Seko, il gabonese Omar Bongo e il togolese Eyadéma Gnassingbé.
“La borghesia nazionale che assume il potere alla fine del regime coloniale, è una borghesia sottosviluppata. La sua potenza economica è quasi nulla e, comunque, senza paragone con quella della borghesia metropolitana a cui intende sostituirsi. […] Essa è interamente incanalata verso attività di tipo intermediario. Essere nel giro, nell’intrallazzo, tale sembra essere la sua vocazione profonda. […]”.
Giovanni D’Errico
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