Lo scorso giugno è stato presentata la terza edizione dello studio che Banca Etica dedica annualmente al 5 per mille in Italia.
Da non confondere con l’8 per mille, il 5 per mille è quello strumento che dà la possibilità al contribuente, in sede di dichiarazione de redditi, di destinare, senza costi, una quota della propria IRPEF a un’organizzazione impegnata in attività sociali.
Ad oltre dieci anni dalla sua introduzione, il 5 per mille è in crescita, pur mantenendo qualche zona d’ombra. Ad esempio, solo un italiano su tre destina il 5 per mille, nonostante il numero dei donatori sia cresciuto del 38% tra il 2006 e il 2017 e nell’anno fiscale 2017 abbia superato quota
14 milioni (su un totale di 41,2 milioni di contribuenti); parallelamente, c’è stato un enorme aumento degli enti beneficiari, +6,6% tra il 2016 e il 2017, +103,4% tra il 2006 e il 2017, con un passaggio da 29.840 agli attuali 60.705.
Ed è ovvio che questa diversa crescita tra chi dà e chi riceve abbia generato una diminuzione progressiva del valore medio degli importi erogati.
Guardando la divisione regionale, si conferma un dato già consolidato negli scorsi anni: il 55,7% dell’importo totale è raccolto in Lombardia e nel Lazio, regioni italiane che storicamente hanno ospitato lo sviluppo del non profit in Italia e che oggi ospitano le organizzazioni più grandi; Emilia Romagna, Piemonte, Veneto e Toscana raccolgono il 23,2% delle risorse; il restante 21% si distribuisce tra le altre 15 regioni italiane, in alcune casi con percentuali bassissime (in 8 non arrivano all’1%).
Tra le categorie più premiate spicca il volontariato, grazie alla rete diffusa di volontari, beneficiari e sostenitori su cui può contare, mentre un caso particolare è quello delle Fondazioni, i cui straordinari risultati sono figli della loro capacità di promozione sui media, che è tale anche per le maggiori risorse su cui possono contare, impensabili per il grosso degli altri
enti non profit. Non molto positivo, invece, il risultato delle Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD), spesso di piccole dimensioni che con molta difficoltà attraggono risorse da altri canali e le Cooperative Sociali, che, pur rappresentando il 12% degli enti beneciari, raccolgono molto poco.
Altro dato interessante è l’elevata concentrazione nella distribuzione delle risorse: i primi 10 enti beneficiari per importo raccolgono il 26,7% del totale delle risorse erogate nel 2017 (134,5 milioni di euro); le fondazioni percepiscono gli importi medi decisamente più alti (in particolare quelle che si occupano di ricerca sanitaria ricevono 1,4 milioni di euro l’anno di media), le associazioni di volontariato hanno un importo medio di 9.000 euro, le cooperative sociali 3.000 euro e le associazioni sportive dilettantistiche 2.000 euro.
Il 5 per mille sta avendo un doppio effetto: dà ai contribuenti la possibilità di sostenere gli enti non profit; impone una crescita culturale agli enti, allo scopo di uscire dall’autoreferenzialità, impostando una maggiore apertura e un serio confronto con i propri sostenitori.
Rimane il problema delle disparità: le realtà più grandi e strutturate hanno le risorse per attivare importanti campagne di comunicazione e ottengono risultati indiscutibilmente migliori delle organizzazioni più piccole che spesso denunciano dei limiti strutturali insormontabili.
Il bilancio del 5 per mille rimane comunque positivo, perché ha permesso la realizzazione di progetti nuovi che altrimenti sarebbero rimasti nel cassetto, nonostante persistano degli aspetti da migliorare, uno di questi è l’eccesso di burocratizzazione, il suo mancato consolidamento e l’introduzione di tetti annuali (a più di 10 anni dalla sua introduzione) e, sopratutto, gli enormi ritardi nell’erogazione del contributo, in media 24 mesi, che resta un’attesa illogica.
Giovanni D’Errico