Il 12 giugno di ogni anno si celebra la Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, indetta nel 2002 l’International Labour Organization (ILO) per richiamare l’attenzione sul fenomeno dei
bambini vittime del lavoro forzato.
1 vittima su 4 di sfruttamento lavorativo è un bambino o un adolescente. Di fronte a problemi così grandi e complessi, a dati tragici che riguardano soprattutto paesi poveri, in cui i diritti sono negati e il lavoro è meno protetto, reagiamo quasi sempre allo stesso modo: dopo l’iniziale momento di commozione e l’eventuale rabbia causata da un enorme senso di impotenza, torna il sereno; una sensazione di tranquillità, dovuta al fatto che, almeno rispetto a tali tragedie umane, in Italia, siamo al sicuro, il
fenomeno, per quanto grave, è a distanza di sicurezza. Tra l’altro lo sfruttamento del lavoro minorile è vietato da una legge del 1967, la n. 977 del 17 ottobre 1967, che definisce “L’attività lavorativa che priva i bambini e le bambine della loro infanzia, della loro dignità e influisce negativamente sul loro sviluppo psico-fisico. Esso comprende varie forme di sfruttamento e abuso spesso causate da condizioni di estrema povertà, dalla mancata possibilità di istruzione, da situazioni economiche e politiche in cui i diritti dei
bambini e delle bambine non vengono rispettati, a vantaggio dei profitti e dei guadagni degli adulti”.
Pertanto, tra un “Je suis …” e una petizione su “Change.org”, pubblicando qualche link sull’argomento, compiuto il nostro lavoro di promotori di sani valori, passiamo oltre.
In Europa e in Italia, però, lo sfruttamento lavorativo fa rima con tratta, in maggioranza finalizzata allo sfruttamento sessuale. Se gran parte del fenomeno resta invisibile alle statistiche, ed è questo il principale problema che non permette una reale stima dello stesso, è ben visibile nella nostra quotidianità, sulle strade che percorriamo in auto tutti i giorni e si chiama sfruttamento sessuale di minorenni. Di fronte a questo, invece, siamo abituati a voltarci dall’altra parte.
Un rapporto recente diffuso dal gruppo di esperti del Consiglio d’Europa ha evidenziato che lo sfruttamento sessuale rappresenta il principale business delle economie illecite connesse alla tratta, ma ha anche ammonito sul fatto che il numero di vittime totale per sfruttamento lavorativo stia progressivamente aumentando. In un contesto di generale penuria di dati, si può tranquillamente affermare che, in tutta Europa, ragazzi e ragazze vengono sempre più sfruttati in agricoltura, edilizia, ricezione alberghiera e nei servizi per le pulizie.
Piccoli schiavi invisibili è il rapporto di Save The Children, pubblicato nel 2018 che probabilmente meglio affronta il tema. Mancando dati certi, la ONG comunque si serve degli strumenti di monitoraggio delle proprie attività e riesce ad affermare che migliaia di minorenni sono entrate in contatto con servizi dedicati alle vittime di tratta nel corso del 2017, in testa la nazionalità nigeriana.
Una recente indagine dell’OIM (Organizzazione Internazionale per le migrazioni – https://italy.iom.int) evidenzia che, negli ultimi tre anni, il numero delle potenziali vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, arrivate via mare in Italia, sia aumentato del 600 per cento.
La questione è molto complessa perché riguarda politica internazionale, economia e mafie. Il fenomeno è ormai da tempo sotto i nostri occhi nelle sue conseguenze più tragiche, passare oltre e voltarci dall’altra parte restano ancora delle comode opzioni ma, consapevoli che non sta a noi risolvere il problema (a colpi di post e tweet), una forte presa di coscienza sarebbe comunque un passaggio culturalmente e socialmente molto significativo.
Giovanni D’Errico