La difficile professione del reporter

In questi giorni è di grande attualità la notizia del rientro in Italia di Gabriele Micalizzi, il 35enne fotoreporter milanese ferito da un miliziano islamico a Deir Ezzor, nella Siria sud-orientale, sul fronte di guerra tra Isis e forze curdo-siriane. L’attacco, diretto a dei miliziani curdi, è stato eseguito con un razzo Rpg e Gabriele Micalizzi al momento dell’impatto si trovava dietro ed è stato colpito nelle parti esposte, il volto, le braccia, un po’ le gambe, e pare che il giubbotto antiproiettile, completamente distrutto, e l’elmetto gli abbiano salvato la vita.

Hilda Clayton explosion 1
L’ultima drammatica fotografia scattata dalla 22enne soldatessa/reporter americana Hilda Clayton ritrae l’esplosione accidentale di un mortaio durante un esercitazione in Afghanistan, nel luglio 2013, che ha ucciso lei e altri 4 militari dell’esercito afgano.

Dopo aver incrociato la notizia su più canali, prima che si perdesse nel flusso dell’informazione, è stato naturale dare un’occhiata alle intense foto di Micalizzi e approfondire la dinamica dell’accaduto per poi, per l’ennesima volta, imbattermi in una considerevole quantità di contributi in rete che raccontano tante storie di fotoreporter e giornalisti, dimostrando la pericolosità e i rischi di un lavoro che sta diventando sempre più complicato.

Sul sito dell’International Federation of Journalist  in fondo alla pagina c’è un contatore inquietante denominato “Journalists & media staff killed in 2019”, con a fianco la specifica “Journalists are increasingly targeted by those who want to silence the messenger. IFJ safety advice, campaigns and resources are essential tools to help protect yourself and stand up for media freedom.”

Lavoro ancora più specifico è quello del Commite to Protect Journalist con un grafico animato nel quale è possibile vedere dati e singole storie dei 1337 giornalisti uccisi dal 1992.

Siria, Libia, Yemen, Palestina, Afganistan, Iraq, il fenomeno che viene fuori è allarmante, gli operatori dell’informazione sono sotto attacco in tantissimi paesi, anche in molti in cui vige una democrazia consolidata, come dimostra la pagina Wikipedia dei giornalisti uccisi in Europa.

Il quarto potere fa ancora paura, fa gola e se non se ne riesce ad entrare in possesso, si cerca in tutti i modi di sminuirlo o addirittura eliminarlo. Purtroppo, nell’era della comunicazione sociale, il dibattito sull’informazione è impantanato sul tema delle fake news e dell’urgenza etica per la rete e ci si dimentica che ancora si muore per informare.

Se la grave crisi dell’editoria nell’era digitale ha sicuramente ridimensionato (professionalmente ed economicamente) le figure del giornalista e del fotoreporter, raccontare (con parole e immagini) rimane fondamentale per lo sviluppo della vita democratica e nel processo di formazione di un’opinione pubblica informata.

Nella Carta dei doveri del giornalista (firmata a Roma in data 8 luglio 1993) si fa riferimento in più punti al concetto fondamentale di responsabilità dei giornalisti verso i cittadini, indissolubilmente legato alla libertà degli individui, e al fatto che il rapporto di fiducia tra gli organi di informazione e i cittadini sia la base di lavoro di ogni giornalista.

E’ chiaro che i ruoli di giornalista e fotoreporter possano essere interpretati in più modi: c’è chi è in prima linea e chi racconta comodamente seduto sul divano dell’albergo, c’è chi produce noioso materiale da notiziari e chi vede le sue parole e le sue immagini sopravvivergli, diventare paradigmatiche e fare la storia.

E’ bene ricordarlo, perché si tratta di un processo di selezione che premia i migliori, i più bravi e non solo quelli che rischiano di più, a volte troppo, per responsabilità, dovere e follia.

Giovanni D’Errico 

photo credit: https://en.wikipedia.org/wiki/Hilda_Clayton

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