Dedicato ad Hauwa, rapita e uccisa, ed a chi resta in attesa di un tempo…di libertà

Avevamo quattordici anni di differenza, io alla sua età – 24 anni – avevo due bambini di 6 e 3 anni  a cui pensare, lei si dedicava a un’intera comunità come  volontaria della Croce Rossa Internazionale; io sognavo di continuare a studiare e scrivere, lei…non posso raccontarvelo perché Hauwa Leman è stata uccisa.

Lunedì 15 ottobre, il governo nigeriano ne ha annunciato la morte per mano dei rapitori appartenenti al movimento terrorista nigeriano Provincia dello Stato Islamico dell’Africa Occidentale (ISWAP), legato alla fazione di Boko Haram, che l’avevano rapita il primo marzo di quest’anno insieme ad altre due operatrici. Hauwa è stata uccisa ad un mese di distanza da Saifura Hussaini Ahmed Khorsa, catturata insieme a lei durante un attacco nel nord-est del paese.

Resta in vita la quindicenne Leah Sharibu, destinata  – secondo alcune fonti  – a diventare e restare schiava dei rapitori ed attualmente tenuta in ostaggio.

Hauwa non ha occhi che si possono dimenticare,  e forse proprio quegli occhi, che mi sono restati addosso per giorni, mi hanno spinto a scrivere per lei e per tutte le ragazze che forse non vedranno mai la libertà dei sogni realizzarsi. Storie che non interessano al lettore che dirà “Beh si sa che in certi paesi funziona così”, storie che non arrivano a quelli che “non possiamo salvare tutti”, storie che non fanno la prima pagina, ma che fanno sentire il qui ed ora di un altrove che scorre e finisce in appelli inascoltati, primo fra tutti quello della ICRC. Ventiquattro ore prima dell’esecuzione, i jihadisti avevano dato l’ultimatum al governo, dicendo che allo scadere l’avrebbero uccisa: “Saifura e Hauwa sono state giustiziate perché considerate apostati, in quanto un tempo erano musulmane, ma poi hanno abbandonato l’Islam quando hanno scelto la Croce Rossa. Per noi, inoltre, non c’è alcuna differenza tra la Croce Rossa e l’Unicef”, avrebbero dichiarato i terroristi.

La sua morte è stata diffusa in un video, dove si vede Hauwa costretta ad inginocchiarsi prima del colpo letale, prima del suo ultimo sguardo rivolto verso qualcuno o qualcosa. Mi sono chiesta cosa l’avesse spinta a diventare una volontaria, quali fossero le sue passioni più nascoste, quale fosse la sua storia. Non per curiosità, no, ma per dovere di raccontare e dare lo spazio di un ricordo a una vita che ha rappresentato la scelta di “essere gli altri” prima che se stessa, a lei e alle 30.000 vite perse da quando nel 2009 è iniziata l’offensiva di Boko Haram, ad Hauwa e alle vite di cui sentiremo parlare solo per comporre i grandi numeri delle tragedie, a Saifura e alle persone la cui morte non lascia il tempo di un nome scritto, a tutti coloro che restano a terra nei metri di un tentativo costato caro, quello di vivere in libertà.

Elena Mascia

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