Il mondo dell’accoglienza straordinaria dei richiedenti asilo (CAS) offre spunti di riflessione mai banali, ammesso che si sappia coglierli.
A seguito della decisione di un centro di fare le analisi del sangue a tutti gli utenti, oltre al generale malcontento, si è registrato un rifiuto netto di uno dei ragazzi più titubanti.
Ne è seguito un confronto, nel quale, con non poca difficoltà, si è arrivati al cuore del problema: il ragazzo confondeva la analisi del sangue con la donazione, da lui fatta, senza le dovute spiegazioni, quando si trovava ospite di un’altra struttura, poi chiusa.
Il fatto ha portato l’immancabile documentazione in rete (altrimenti dove?), partendo dalla chiave di ricerca “donazione sangue-migranti” che è stata foriera da subito di diverse bestialità culturali: l’integrazione passa dal sangue;
donazioni di sangue in calo, si punta sui migranti;
l’importanza di sottolineare la verifica costante dell’affidabilità del donatore straniero;
il cuore grande dei migranti che decidono di donare.
Una breve lista che conferma un linguaggio comune ancora schiavo della logica del noi e loro, appesantito da distorsioni culturali secondo le quali il migrante è buono se restituisce alla comunità che lo accoglie mentre è cattivo laddove, invece, non si prodiga in gesti, più o meno, eclatanti di altruismo.
Una retorica che è sintomo di grave ritardo culturale, soprattutto perché presente su pagine gestite da addetti ai lavori (nello specifico della donazione e dell’informazione) e non solo nella bolgia dei social network.
Non mancano, ovviamente, documenti interessanti sul tema in questione: uno in particolare merita la segnalazione (e l’approfondita lettura), non a caso è una ricerca fatta da uno staff di professionisti che si pone il problema del donare, del sangue, della partecipazione attiva in comunità in una chiave interculturale. [per leggerlo CLICCA QUI]
Due sono le evidenze che vanno ribadite: serve sangue e serve sangue di migranti. Nel nostro Paese i donatori di sangue sono più di milione e mezzo, più del 4% della popolazione potenzialmente idonea.
Negli ultimi anni si è verificato un aumento considerevole di donazioni da parte di stranieri, in gran parte extracomunitari: dai circa 25mila di dieci anni fa, si è passati ai 125/150 mila di oggi (il 2,5% degli immigrati presenti sul territorio).
Nonostante non ci sia un dato nazionale ufficiale univoco, si può tranquillamente affermare che un donatore su dieci non è italiano.
Al momento l’Italia può vantare una generale tendenza all’autosufficienza nelle scorte di sangue, ma come ammoniva qualche anno fa Antonio Bronzino di Fidas «Nel 2030, a causa del ricambio generazionale, perderemo il 20% degli attuali donatori».
Una notizia molto ripresa in rete, invece, genera riflessioni di altra natura: una donna incinta con un gruppo sanguigno raro e col sistema immunitario che produceva pericolosi anticorpi contro il feto, salvata dalla Banca del Sangue Raro e agli esperti del Policlinico di Milano che ha rintracciato un donatore con un gruppo sanguigno compatibile, probabilmente l’unico in Italia.
Con alcune trasfusioni direttamente in utero, i medici sono riusciti a salvare la vita alla bambina. Dettaglio cruciale, entrami erano stranieri, non bianchi caucasici (a dirla come nei film americani).
E’ questo un caso di “missing minorities”, soggetti che non possono essere trasfusi da una normale sacca dello stesso gruppo, data una particolare composizione genetica che genera problemi di compatibilità. Una persona viene definita di “gruppo raro” quando il suo assetto antigenico si riscontra al massimo in 1 soggetto ogni 1.000 esaminati.
Per questo, nasce nel 2005 la Banca del Sangue Raro di Milano con lo scopo di identificare donatori da inserire in un database specifico, fondamentale per la trasfusione dei pazienti di gruppo raro, che provengono soprattutto da Africa nord e sud, America Latina occidentale, India e Nord Europa.
Nelle società multietniche come l’Italia, il numero di pazienti di etnie diverse in possesso di gruppi sanguigni rari è in costante aumento e, pertanto, serve identificarli attraverso la donazione, senza considerarla come una prova di riconoscenza verso il generoso ospite italico e gestendola con un corretto approccio interculturale, le necessarie spiegazioni e una giusta preparazione, evitando situazioni coatte o ingannevoli.
Giovanni D’Errico
photo credit: Giovanni D’Errico