ROMA – La fine di Ottobre ci consegna due interessanti pubblicazioni sul tema delle migrazioni i cui risultati combinati danno degli spunti interessanti e smontano diversi luoghi comuni alla base della costante diffusione del razzismo virtuale.
I due documenti sono il Dossier Statistico Immigrazione 2017 (27a edizione) curato dal Centro Studi e Ricerche IDOS e il rapporto “Migration and its impact on cities” del World Economic Forum.
Facendo un passo indietro, nel 2015 l’indagine IPSOS Mori poneva l’Italia al primo posto come ignoranza nella percezione della percentuale di immigrati: gli intervistati avevano espresso la convinzione che gli stranieri fossero il 30% della popolazione.
Qual è, invece, il dato reale? Gli stranieri in Italia al 31 dicembre del 2016 sono poco più di 5 milioni, ovvero l’8,3%. Altro aspetto demografico interessante, in Italia la popolazione totale è diminuita di 76mila unità, mentre quella straniera aumentata di 20mila; a fronte degli oltre 180mila sbarcati, 40mila stranieri e oltre 110mila italiani hanno deciso di trasferirsi altrove. Se la presunta invasione dalla Libia è stata abilmente sfruttata politicamente, la contestuale diaspora, in gran parte di giovani, è stato un argomento completamente evitato, perché terreno troppo scivoloso nonché diretta conseguenza di politiche inefficaci.
Quando qualcuno tenterà un’analisi seria, si spera avrà l’accortezza di verificare un altro dato: sulla base degli archivi dei paesi nei quali gli italiani sono emigrati (Gran Bretagna e Germania su tutti) risultano numeri più alti, nel 2016 sarebbero oltre 280mila gli italiani che hanno trasferito la propria residenza altrove.
Cercando di non rendere quest’articolo un freddo elenco di dati aggregati, i quali, in ogni caso, hanno sempre più valore del chiacchiericcio da bar e delle impressioni dei singoli (seppur qualificati), aggiungiamo qualche altro numero: il 53% della popolazione straniera in Italia è cristiano e il 30% è musulmano; infine, un altro argomento sensibile, il tasso di criminalità (per 100mila abitanti) risulta essere tra gli stranieri più basso che tra gli italiani. Tutto ciò limitatamente all’Italia, ovvero l’undicesimo paese di destinazione delle migrazioni (dietro Ucraina, Kazakistan e Giordania, secondo la percentuale sul totale della popolazione).
Che il fenomeno delle migrazioni sia globale e vada analizzato con coordinate più ampie, ce lo dimostra il documento del World Economic Forum: un miliardo di individui (1/7 della popolazione mondiale) sono emigrati o stanno migrando, ma solo 1/4 di essi cambia nazione mentre 3/4 sono migranti interni, si pensi alla Cina e ai suoi 220 milioni di persone che si muovono verso le metropoli; inoltre, non è in atto un’invasione dell’Europa, continente la cui popolazione decresce e nel quale 1 abitante su 5 vorrebbe migrare, percentuale leggermente inferiore dei paesi di Nord Africa e Medio Oriente (22%).
I due rapporti offrono molti altri spunti, il lavoro, l’aspetto previdenziale, il ruolo delle metropoli nelle migrazioni, le proiezioni dei movimenti migratori futuri. Bisogna che sia chiaro che la mobilità umana non è un’;emergenza ma una tendenza ineluttabile, non riguarda solo i paesi poveri e non ci si muove solo perché si è obbligati da guerre, carestie, problemi ambientali, ci si muove anche alla ricerca della modernità, di opportunità, di una vita più stimolante.
L’Europa ne è un esempio con i suoi programmi di mobilità giovanile che, purtroppo, coesistono con l’irragionevole chiusura delle frontiere interne a richiedenti asilo e, sempre più spesso, cittadini extracomunitari.
La sfida delle politiche migratorie non può essere quella di “governare il fenomeno”, bisogna lavorare a delle vere prospettive di convivenza interculturale, al definitivo superamento dell’intolleranza verso le minoranze, con lo scopo, in una prospettiva di lunghissimo periodo, del paradossale superamento della stessa idea di politiche migratorie.
Giovanni D’Errico
Photo credit: Giovanni D’Errico