Un po’ alla volta li prenderemo tutti. Intervista a Federico Cafiero de Raho

CASAL DI PRINCIPE – Iniziato il primo luglio del 1998, 626 udienze complessive, 1300 indagati, 508 testimoni ascoltati, 27 ergastoli, 844 anni di carcere inflitti: parliamo del maxi processo Spartacus, che lo scorso quindici gennaio si è finalmente concluso in Cassazione con la conferma, per i ventiquattro imputati, dei sedici ergastoli e delle otto condanne a pene inferiori, cioè che vanno dai due ai trenta anni.

Dell’inchiesta e dell’iter del processo ne parliamo con Federico Cafiero de Raho pubblico ministero, insieme a Lucio Di Pietro, all’epoca del processo in primo grado.

«Quando iniziammo l’inchiesta Spartacus  – racconta il magistrato – il clan dei casalesi non era per nulla noto e noi non avevamo alcuna informazione. Solo nel 1993 con l’inizio della collaborazione di Carmine Schiavoneriuscimmo a capire la loro potenza e, soprattutto, le sue numerose ramificazioni economico-imprenditoriali. Da lì partimmo ed iniziarono le nostre indagini. Basti pensare che prima di quella data molti uffici inquirenti ignoravano la capacità di infiltrazione del clan»

«Così partì il processo Spartacus dal nome dello schiavo che si ribella al giogo violento degli oppressori. Il processo è durato sette anni al ritmo di tre udienze settimanali senza mai fermarci, basti pensare che molto spesso celebravamo le sedute in concomitanza anche di altri processi. Ed il tutto è passato sotto silenzio. Solo con l’uscita del romanzo ‘Gomorra’c’è stato del clamore intorno alla vicenda che prima di allora  ai più era sconosciuta. Così com’era sconosciuta la forza dirompente del clan dei casalesi considerati dai media un gruppuscolo operante limitatamente all’agro aversano».

Una forza dirompente che poi è venuta a galla soprattutto nella stagione delle stragi…

«Il gruppo di fuoco ha avuto il compito di intimidire e di imporre, ancora una volta, la volontà del clan. Ma questo s’è rivelato un vero e proprio boomerang. Perchè alla lunga scia di sangue lo Stato ha avuto la forza di reagire, di indagare e di assicurare in pochi mesi tutti coloro che si erano macchiati di quei delitti alla giustizia».

Tornando a Spartacus: la chiusura del processo con la conferma di tutte le condanne è stata una vostra grande vittoria

«Noi magistrati non siamo degli eroi. Siamo dei dipendenti statali e facciamo il nostro lavoro ed il nostro dovere. I veri protagonisti , i veri eroi, sono i cittadini di questo territorio, la parte sana di questi paesi che devono sottostare alla violenza. I veri protagonisti sono, tra gli altri, Domenico NovielloRaffaele GranatoFederico del Prete e tutti quelli che hanno fatto la scelta di non cedere ed hanno pagato con la vita le loro scelte».

Che emozione ha provato un attimo dopo la lettura della sentenza?

«Alla lettura della sentenza il mio stato d’animo era quello di una immensa soddisfazione. La sentenza ha raggiunto un punto fermo. Sono stati confermati gli ergastoli per tutti i capi storici. Non vedranno più nessuno se non un familiare una volta al mese per un ora. Un paese civile risponde così: con una giustizia che funziona e con una pena come quella dell’ergastolo che equivale a morte. Lo Stato arriva, in ritardo ma arriva sempre».

C’è una speranza dunque…

«Sono convinto che questa lotta si vincerà. Sono stati tutti individuati, in tanti sono stati arrestati. Sono senza soldi e si stanno indebolendo. Un po’ alla volta li prenderemo tutti. Quando la giustizia e lo Stato si muovono per vincere difficilmente non raggiungono l’obiettivo che si sono prefissati».

Michele Docimo

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