30 anni fa l’assassinio del “Che” Guevara d’Africa: Thomas Sankarà

Thomas Sankara, affettuosamente chiamato il “Che Guevara dell’Africa”, rappresenta una figura molto bella e purtroppo poco conosciuta nella storia della cultura e della politica africana.

Nato in una famiglia molto povera dell’Alto Volta, cresce nel rispetto dei grandi valori della cultura africana, abbracciando quindi il marxismo, ma sempre senza perdere di vista la sua fede cristiana.

Divenuto capitano dell’esercito Voltano, il 4 agosto del 1983 Sankara giunge alla guida del paese grazie ad un colpo di stato incruento e senza alcuna vittima, ampiamente sostenuto dalla popolazione.

Da qui inizia una politica davvero rivoluzionaria.

Un anno dopo il golpe militare che lo porta al potere, Thomas Sankara cambia il nome del paese. Non si chiamerà più  Haute-Volta, Alto Volta, ma Burkina-Faso che in lingua moré e mossi significa il paese degli uomini integri.

Cominciano le diverse ed incisive riforme di questo paese, piccolo e povero, del continente africano.

La prima delle riforme è la nazionalizzazione delle terre e delle miniere.

Seguono le riforme del sistema dei trasporti pubblici. A dicembre del 1984 arriva la campagna di alfabetizzazione e successivamente la riforma del sistema scolastico.

La scolarizzazione diventa obbligatoria e gratuita. Un altro impegno riformatore assunto dal presidente Thomas Sankara è quello della parità dei diritti tra i sessi.

Viene approvato il Nuovo codice della famiglia, che condanna e vieta la poligamia ed introduce l’uso della contraccezione contro l’Aids e le gravidanze indesiderate (che considera una delle cause dell’impoverimento della società e una terribile violenza contro le Donne del Burkina).

Con una legge ad hoc si vieta l’infibulazione e tutte le forme di menomazioni che, con il pretesto delle tradizioni religiose, vengono fatte sul corpo delle donne.

Il giovane presidente conduce una lotta senza quartiere contro la povertà e tutte le cause generatrici di degrado, di imbarbarimento e di sopruso.

Istituisce perfino, unico caso in tutta l’Africa postcoloniale, il Ministero dell’Acqua, dichiarando anche in modo ufficiale che l’acqua è un bene pubblico oltre che una risorsa primaria.

Sankara conduce una vita all’altezza degli ideali predicati, sobria e semplice.

Le auto blu destinate agli alti funzionari statali, dotate di ogni comfort, vennero sostituite con utilitarie, ai lavori pubblici erano tenuti a partecipare anche i ministri. Sankara stesso viveva in una casa di Ouagadougou, la capitale del Paese, che per nulla si differenziava dalle altre; nella sua dichiarazione dei redditi del 1987 i beni da lui posseduti risultavano essere una vecchia Renault 5, libri, una moto, quattro biciclette, due chitarre, mobili e un bilocale con il mutuo ancora da pagare.

“È inammissibile”, sosteneva, “che ci siano uomini proprietari di quindici ville, quando a cinque chilometri da Ouagadougou la gente non ha i soldi nemmeno per una confezione di nivachina contro la malaria”.

Quando alcuni capi di Stato si offrirono per donare a Sankara un aereo presidenziale, la risposta fu che era meglio fare arrivare in Burkina Faso macchinari agricoli.

Da autentico “rivoluzionario”, il giovane presidente non poteva accontentarsi di migliorare le condizioni di vita nel suo paese, ma pensava di cambiare e ridare dignità a tutto il continente africano.

Iniziò a combattere la dominazione culturale dei paesi cosiddetti avanzati. Diceva: “Per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità”.

La punta più elevata del suo impegno la raggiunse nel 1986, ad Addis Abeba, nel corso dei lavori dell’Organizzazione per l’Unità Africana.

In tale sede Sankara si oppose al pagamento del debito dei paesi africani verso i governi occidentali, proponendo a tutti gli stati del continente di aderire a tale rifiuto. Disse:

Noi siamo estranei alla creazione di questo debito e dunque non dobbiamo pagarlo. Il debito nella sua forma attuale è una riconquista coloniale organizzata con perizia. Se noi non paghiamo, i prestatori di capitali non moriranno, ne siamo sicuri; se invece paghiamo, saremo noi a morire, possiamo esserne altrettanto certi”.

Sempre in quella sede propugnò la riduzione sino alla cessazione delle spese militari, proponendo ai Paesi africani di smettere di acquistare armi e di dissanguarsi in dispute fomentate dall’estero per protrarre l’arretratezza e la dipendenza del continente. L’invito era di adottare misure a favore dell’occupazione, della tutela ambientale, della pace tra i popoli, della salute.

Naturalmente combatté apertamente l’apartheid. Affermò:

Dobbiamo combattere l’apartheid non perché siamo neri, bensì semplicemente perché siamo uomini e non animali e ci opponiamo alla classificazione degli uomini in base al colore della pelle”.

Non pagamento del debito verso i paesi occidentali, cessazione delle spese militari, indipendenza culturale dell’Africa.

Vi stupite se pochi mesi dopo queste affermazioni Thomas Sankara, il Che Guevara africano, venne assassinato nel corso di un colpo di stato, con una evidente assistenza tecnica dei servizi segreti esteri?

Mi sono dilungato, forse. Perché credo che la figura di Thomas Sankara meriti di essere ricordata e conosciuta, con affetto e riconoscenza. Un eroe vero, coerente nella vita e sino alla morte.

Chiudo con un’altra sua affermazione:

Sarei felice se fossi stato utile, se fossi stato un pioniere: quello che sembra oggi un sacrificio, domani sarà un normale e semplice comportamento. Ho detto a me stesso che trascorrerò la vecchiaia in qualche libreria a leggere, sempre che prima, visto che abbiamo molti nemici, non abbia incontrato una fine violenta”.

Grazie, Thomas!

 

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