Nasce nelle campagne italiane, tra i ghetti dove vivono i braccianti stranieri, Migrant, il nuovo album del musicista franco-italiano Sandro Joyeux. Il progetto che sarà presentato in anteprima all’Auditorium Parco della musica di Roma, domani 11 marzo, è il frutto dell’Antischiavitour, la speciale tournée per i lavoratori africani dei campi, che l’artista ha lanciato nel 2011 e che ha percorso la penisola, dal Piemonte alla Puglia, fino all’ultima tappa nel luogo simbolo della rivolta dei lavoratori sfruttati, Rosarno.
Come un giullare moderno Joyeux ha raccolto tappa dopo tappa le storie di chi vive ai margini e gli ha dato voce nei singoli che compongono il suo ultimo lavoro, realizzato con la partecipazione di Eugenio Bennato e Dean Bowman.
«In questo album affronto vari aspetti della stessa questione, la migrazione: la parte storica, quella del debito coloniale, ma anche quella sociale – spiega Joyeux – Di fatto oggi tra un campo dove si fa la raccolta di pomodori in Puglia e una piantagione in Missisipi c’è poca differenza: sono passati 500 anni dalla schiavitù delle popolazioni nere ma non è cambiato molto. Oggi c’è una nuova schiavitù moderna, in cui le persone sono forse più libere ma di certo sfruttate come allora. Ma di questo nessuno parla».
E così ad alzare la voce su questi temi Joyeux ci prova con le sue canzoni: «credo che la musica abbia oggi un grandissimo potere, che possa incidere veramente anche sulle coscienze. Quando ho iniziato l’Antischiavitour pensavo solo di andare a regalare un po’ di musica ai ragazzi esiliati in queste tendopoli. Poi stando lì ho conosciuto le loro storie: sono in prevalenza ragazzi che arrivano dall’Africa, dal Burkina Faso, dal Mali, dalla Costa d’Avorio – racconta – E che qui invece di riuscire a costruirsi una vita migliore, finiscono vittime dei caporali, costretti a pagare anche le baracche di fortuna dove vivono, in mezzo al fango».
Tra le canzoni simbolo dell’album “Ce n’est pas ça” che parla di come sia impossibile fermare chi cerca una vita migliore: «chi è pronto a morire attraversando il Mediterraneo non lo fermi con i muri né con il filo spinato».
C’è poi “Elmando”, canzone che ha anche ricevuto il patrocinio dell’Unhcr. E’ la storia di un ragazzo apolide, fuggito anni fa dal Congo e arruolato per alcuni anni come bambino soldato. «Ha fatto un viaggio lunghissimo prima di arrivare a Parigi dove l’ho incontrato. Arrivava dal Congo, ma era apolide, non riconosciuto, cioè, da nessuno stato. L’ho visto in un centro commerciale, era appoggiato a una parete che raffigurava una foresta– spiega Joyeux –Viveva come un poeta metropolitano, regalando cioè poesie ai passanti. Lo ricordo come una sorta di barbone celeste, siamo diventati subito amici».
Tra i successi di Joyeux c’è “Kingston” che parla di multiculturalismo. Il video è stato realizzato insieme ai ragazzi della scuola Pisacane di Roma, divenuta famosa per l’alto numero di studenti stranieri che la frequentano.
A tenere insieme le storie migranti dell’album una musica che fonde afro-beat e reggae. «I miei maestri sono quasi tutti africani – spiega ancora l’artista -. Da giovane ho lasciato Parigi per andare in Mali a studiare con Boubacar Traore, è stata un’esperienza importantissima».
Ma nella sua musica non mancano le influenze di tanti altri musicisti del conteninente come Salif Keita, Oumou Sangare, Youssou N’dour, Amadou e Mariam. Anche per questo suo peregrinare per il mondo qualcuno ha definito Sandro Joyeux un “musicista vagabondo”. Di certo la sua musica porta impresse le tappe della sua storia personale: nato a Parigi da madre francese e papà italiano, è cresciuto nel 18 arrondissement, tra i più multietnici della città. Ben presto ha iniziato a viaggiare, prima per il continente africano, poi in Italia dove ha lavorato con alcuni dei più importanti musicisti del paese come Pino Daniele ed Eugenio Bennato.
photo credit: Dario Vegliante