“Mare nostrum”: oggi il nome latino del Mare
Proprio su questa ricercata analogia si basa lo spettacolo nato dalla penna del drammaturgo Massimiliano Perrotta: il ruolo del teatro nelle scene prodotte dall’immaginazione del regista Walter Giuffrè diventa quello di un ambasciatore della comunanza di culture e modi di pensare che nei vorticosi giri delle acque del Mediterraneo si viene a creare. Il mare tanto protagonista delle vicende prima politiche e conseguentemente mediatiche di questi mesi rimane l’indiscusso crocevia di popoli, il bacino “in mezzo alle terre” volendo rifarsi propriamente alla sua etimologia, che fin dai tempi dei Cretesi si è prestato alla conoscenza tra i suoi popoli rivieraschi: quegli stessi che oggi sopravvivono, nonostante le indiscusse colonizzazioni culturali delle superpotenze mondiali, nelle nazioni più storicamente influenti del Vecchio Continente.
Ma non è solo speculazione artistica quella presente nell’opera prodotta dal Teatro Mediterraneo: è il risultato di un’esperienza reale e sentita, quella che il drammaturgo Perrotta ha avuto a contatto con i migranti del CARA di Mineo, guardando negli occhi chi aveva subito la sopraffazione di una forza troppo grande per essere sostenuta da un singolo individuo, e di chi ora si sente escluso da una realtà che poi socialmente non è così diversa da quella di certe zone del cosiddetto “terzo mondo”. Sono le speranze infrante di una vita migliore, le attese disattese di un’esistenza più “umana” ad essere i paradigmi dell’ambito da cui il drammaturgo ha attinto: un centro di accoglienza per i richiedenti asilo dove però quella che dovrebbe essere accoglienza diventa dimostrazione dell’incapacità organica di fare integrazione. Il mondo è quello di richieste d’asilo civilmente legittime che attendono mesi per ricevere risposte, e che si traducono dunque in un maggior numero di persone che popolano l’ormai più congestionato centro del suo genere in Italia: a marzo 2015, secondo le stime di Medu (Medici per i Diritti Umani), erano 3200 gli immigrati ospitati in un luogo adibito per soddisfare degnamente le esigenze di 2000 individui.
Ma leggendo queste informazione ciò che risulta del tutto assente è proprio l’idea di “ospitalità”: su questa mancanza di comprensione e sulla dunque conseguente negazione di considerazione nei confronti di chi arriva sulle nostre coste dopo un percorso travagliato si snoda lo spettacolo presentato al Cluster Bio-Mediterraneo della Regione Siciliana, che volutamente si fa promotore della sussistenza di una identità mediterranea, che è sì agroalimentare e ambientale, ma è anche, e deve essere, intellettuale. La rappresentazione è quindi non solo una pura rivisitazione retorica di un fenomeno così tremendamente dinamico nella storia come quello dell’immigrazione, ma piuttosto un’analisi sociologica degli aspetti anche puramente folkloristici, caratteriali e esoterici dei popoli delle regioni mediterranee, a prescindere dalla loro appartenenza nazionalistica. Essa è difatti la rilettura più matura e maggiormente esposta alle problematiche attuali di una commedia sempre nata in seno alla cooperazione di Perrotta e Manfrè: “I Meneni”, debuttata ne 2013, ripercorre le radici proprio del popolo di quella Mineo che oggi è portatrice di una sicilianità in bilico tra vecchie tradizioni e le importazioni innovative di quella che dovrebbe essere una cultura comunitaria, ma che è poi tradita dai suoi più alti rappresentanti.
Ma è concretamente che questa iniziativa artistica vuole porre in atto la fiducia integrativa di cui le persone hanno bisogno: lo spettacolo “Mare Nostrum”, tra i vari attori professionisti che già si sono alternati sulla scena nelle precedenti rappresentazioni e che replicheranno la sera del 3 sul palcoscenico dell’Expo, prevede la partecipazione di ben 15 persone provenienti proprio dal centro d’accoglienza siciliano. In questo modo è costruito il “debutto” non solo di chi può sperare di farne una occasione seria di integrazione, ma anche di un teatro che vuole dare una risposta culturale alle questioni polemiche e aberranti della nostra società.
Mariano Scuotri