PALERMO – Dopo l’arrivo dei migranti c’è l’obbligo costituzionale di garantire in termini di cura e prevenzione la salute globale, compresa quella psichica. Ma quanto viene realmente fatto?
È questo il tema affrontato da Marco Mazzetti, medico specialista in pediatria e psichiatria della Simm, Società italiana di medicina delle migrazioni, durante una delle sessioni del XIII congresso in corso ad Agrigento fino a sabato prossimo.
«La questione non è solo quel
la di prevenire la morte di tanti richiedenti asilo, e di farlo in modo onorevole, per la loro dignità, ma anche di tutelarne la salute una volta sbarcati – afferma Mazzetti – Questo tema ci sembra rilevante, e non merita di essere messo in ombra da quello predominante sulla prevenzione delle tragedie. E’ una questione altrettanto importante e per la quale non sono ammessi alibi: non è possibile cercare giustificazioni nell’imprevedibilità degli eventi, nella mancata assistenza degli altri paesi europei, nella malvagità dei trafficanti di esseri umani. Proteggere la salute di chi è riuscito a sbarcare vivo è una responsabilità del tutto italiana. La questione sanitaria può essere distinta in tre aree: l’emergenza allo sbarco, la prevenzione e la protezione della salute psichica».
Secondo l’esperto sanitario i principali problemi clinici che i richiedenti asilo presentano al momento dello sbarco sono essenzialmente legati alle condizioni del loro percorso migratorio. Ci sono le patologie da agenti fisici: i più comuni sono colpi di calore, colpi di sole, assideramento (secondo le condizioni climatiche in cui avviene la navigazione), lesioni da decubito dovuti alla posizione forzata senza possibilità di movimento sui barconi, aggravata da agenti chimici quali l’acqua salmastra o il gasolio che spesso sporcano i luoghi in cui i naviganti si siedono.
Le patologie indotte o aggravate dalle condizioni del trasporto: le più pericolose sono quelle dovute alla disidratazione, che hanno determinato ad esempio casi documentati di gravi insufficienze renali. Condizioni cliniche legate alla gravidanza o al parto: molte profughe approdano in gravidanza, anche avanzata, o subito dopo aver partorito. In genere non si tratta di donne che hanno iniziato la loro fuga dopo aver concepito, ma di vittime di gravidanze forzate, causate dagli stupri.
«Queste situazioni cliniche richiedono la predisposizione di presidi appropriati in grado di dare le risposte emergenziali necessarie – sottolinea Marco Mazzetti -. Non riteniamo che debbano essere organizzati presidi specialistici appositi a Lampedusa, ma che debbano essere predisposte soprattutto procedure di rapida evacuazione verso una serie di centri di riferimento regionali e nazionali in grado di offrire le risposte cliniche più appropriate. L’emergenza sanitaria a Lampedusa non è un’emergenza. Gli sbarchi si susseguono ormai da un ventennio, e non possono più essere gestiti con dilettantismo e approssimazione, o peggio con mala fede, per creare casi da sfruttare politicamente».
Il medico lancia un affondo anche su come è stata organizzata la prima accoglienza dei migranti. «Una volta sbarcati, i richiedenti asilo sono ammassati in ricoveri di cui non riusciamo a conoscere nel dettaglio le caratteristiche igieniche – continua -; non riusciamo nemmeno a conoscere la qualità nutrizionale dei cibi che vengono loro somministrati. Le informazioni di cui disponiamo, quindi, provengono essenzialmente da fonti giornalistiche e dalle testimonianze dei nostri pazienti, quando giungono alla nostra osservazione in angoli diversi d’Italia; queste due fonti (reportages e pazienti) sono pienamente coerenti tra loro. Le informazioni parlano di ricoveri straordinariamente sovraffollati, con carenza di servizi igienici e di acqua corrente, con protezione da agenti termici (caldo e freddo) del tutto non appropriata, soprattutto in alcuni periodi dell’anno e in certe condizioni climatiche».
«Questa è una situazione interamente sotto la responsabilità delle autorità delle Repubblica italiana, e non può trovare nessun tipo di giustificazione – prosegue -. Non esistono alibi né cause da addebitare allo scarso supporto delle altre nazioni europee, alla malvagità dei trafficanti o alla scarsa cooperazione da parte delle nazioni nord-africane. E’ una responsabilità totalmente italiana quella di tutelare la salute di ‘poche’ centinaia di persone che si trovano sul nostro territorio. Un paese come l’Italia non può definire gli sbarchi come un’emergenza, dato che si replicano con regolarità da lustri, e non è accettabile che ancora non esistano collaudate procedure di rapida evacuazione dei richiedenti asilo in altri luoghi del territorio nazionale, in modo da offrire loro condizioni igieniche appropriate alla vita di esseri umani».