MILANO – Sospeso tra la legalità e l’illegalità: la domanda l’ha fatta, i soldi li ha versati, ma il permesso di soggiorno gli è stato negato. Ilia, ucraino di 25 anni, dopo 12 mesi dall’invio della domanda, s’è visto respingere la richiesta di regolarizzazione dalla Prefettura di Milano.
Ilia, come molti altri migranti, si trova in mezzo a un guado: nell’ottobre 2012 ha versato di tasca propria i mille euro per presentare la domanda, ha pagato gli arretrati Inps. Il suo datore di lavoro, invece, in un anno di lavoro non ha mai versato i contributi.
Non ha mai visto una vera busta paga, altrimenti questo problema non sorgerebbe. Il suo capo continua a pagarlo in nero. Avrebbe dovuto proseguire nei versamenti all’Inps, come fa ogni imprenditore con i dipendenti. Ma non lo ha fatto. Senza questi il lavoratore straniero non può completare il tortuoso percorso per ottenere un permesso di soggiorno.
La sanatoria 2012 inizia a dare i suoi frutti oggi. E appaiono ancora evidenti i problemi. “Dal nostro osservatorio pare che ci siano diversi casi di lavoratori in questa condizione”, spiega Maurizio Bove, responsabile immigrazione di Cisl Milano.
I numeri ancora non ci sono. E le casistiche sono varie: c’è chi è stato truffato, come spesso è accaduto nella sanatoria del 2008. C’è chi è stato licenziato appena prima di completare la domanda, per un datore di lavoro in malafede. E c’è chi non ha un datore di lavoro disponibile a continuare a pagare i contributi. «Il nostro problema, come sindacato, ora è capire come tutelare i lavoratori, che in questo momento sono quelli che rimettono di più», continua Bove.
Ilia fa l’elettricista da un anno e mezzo: appena ha saputo che c’era la possibilità di regolarizzarsi, ci ha provato, visto che non ha mai avuto un permesso di soggiorno. Anche se il suo datore di lavoro gli ha chiesto prima di sborsare di tasca sua i mille euro per l’apertura della pratica. Lavora in una ditta con un unico titolare, una di quelle che la crisi ha rischiato di cancellare. Siccome il datore di lavoro non aveva abbastanza soldi per andare avanti, ha chiesto allo straniero di fare uno sforzo. Ma ora tocca a lui, altrimenti la regolarizzazione non sarà mai completata.
Da qualunque parte la si guardi, la parte lesa di questa storia è il lavoratore che cerca di sanare la sua condizione. Ha perso i mille euro per aprire la pratica, ha perso i contributi pagati fino a maggio (sei mesi), ne deve perdere altrettanti per andare avanti. Sempre di tasca sua. E in tutto questo non è nemmeno riuscito ad avere il documento. Sindacati e Prefettura stanno lavorando insieme alla ricerca di una soluzione, almeno per permettere ai lavoratori di chiudere la pratica di regolarizzazione.