[di Michele Docimo] – “Noi del Rione Sanità” può essere considerato, don Antonio Loffredo mi consentirà l’accostamento che può sembrare blasfemo, alla stregua degli Atti degli Apostoli. È un Vangelo apocrifo che privilegia gli aspetti umani più di quelli spirituali e che ci fa conoscere figure minori, altrimenti residuali o sconosciute.
E ci fa conoscere il quartiere della Sanità. Il rione che appare come un ghetto e che come un ghetto è delimitato da un ponte che per anni è diventato un muro. La Sanità, il vero ventre di napoli: così al centro ma tagliato fuori da tutto.
Che poi, sia chiaro, diciamo la Sanità, ma in questo nome leggiamo tutte le periferie di qualsiasi città.
E nel libro c’è la storia, la scommessa, di questo parroco all’occorrenza imprenditore, all’occorrenza direttore, all’occorrenza “industriale del terzo settore” che scopre che uno dei problemi principali del quartiere è il lavoro e intuisce che la soluzione del problema è sotto i loro occhi e sotto i loro piedi.
La soluzione è l’arte , la cultura, i beni comuni. Don Antonio dimostra che con la cultura si mangia e dimostra quanto sia importante la contaminazione. L’arrivo dei turisti, la cultura dell’accoglienza, il quartiere sempre aperto.
E don Antonio ci fa capire anche un’altra cosa: che da recupero, restauro e valorizzazione dei luoghi fisici derivano recupero, restauro e valorizzazione dei cuori e del potenziale umano che il quartiere della Sanità esprime.
E come dicevamo prima si scrive Sanità ma in questa parola leggiamo non solo la periferia di Napoli ma la periferia di Aversa, di Casal di Principe, di castel Volturno o di Marcianise.
C’è un rione Sanità anche nelle nostre di città… l’unica differenza è che noi non abbiamo ancora fatto la nostra scommessa!