Abbiamo incontrato e intervistato Ulderico Pesce, attore e regista teatrale, presente con il suo spettacolo “Storie di scorie”, alla IV edizione di “Ecosummer Festival”, tenutasi il 19, 20 e 21 luglio 2013, organizzata dall’associazione culturale “La Tenda” di Parete.
“Storie di Scorie” vuole ricostruire prevalentemente l’avvento dell’industria nucleare italiana, il pericolo che ancora oggi rappresenta e le modalità tecniche del funzionamento di una centrale atomica.
Se dovesse descriversi in poche parole, cosa direbbe se le chiedessi chi è Ulderico Pesce?
Sono un narratore che si occupa di tematiche sociali, cerco di raccontare storie di cui non si parla molto, tipo scorie atomiche, nucleari, indagini su traffici illeciti di rifiuti, da qualche anno porto in giro spettacoli sull’ambiente, ora sto per fare il quarto, che si chiama “Attenti al cane” dedicato a tutto ciò che riguarda l’estrazione petrolifera in Italia, non solo quello che avviene nel nostro Paese, ma soprattutto quelli che gli italiani fanno nei territori stranieri, delle società italiane (come l’Eni) che scavano e trivellano in Paesi stranieri, come la Nigeria e sul delta del Niger.
Lei ha alle spalle un’esperienza lavorativa molto importante, ha lavorato in teatro con Lavia, Bene, Ronconi, Albertazzi e tanti altri nomi noti, quando è perché ha deciso di adottare questi temi così importanti ma anche cosi ostici da trattare?
I motivi che mi hanno portato a fare questa scelta sono stati due: il primo di tipo professionale, il secondo di tipo geografico. Professionale, perché il teatro che ho fatto era strutturato sull’artificio, finto, dove l’organicità, cioè la passione, la vita di un essere umano non servivano, dove, invece, serviva, soprattutto, la “recitazione”.
Nei quattro anni di esperienza che ho fatto a Mosca con Anatoli Vassilev ho imparato che l’organicità serve: in scena si deve andare quando ti appassiona e ti emoziona l’argomento di cui ti stai occupando. Geografica, perché quando sono tornato in Italia, mi sono accorto che questi testi che permettono di rappresentare l’organicità non ci sono. Così mi sono reso conto che mi poteva aiutare il repertorio popolare, anche legato ai nostri territori, quelli del sud, con tutti i problemi che la gente vive. Mi sono accorto che sulle problematiche ambientali e di lavoro, l’Italia meridionale è stata maltrattata dallo Stato centrale, utilizzata come pattumiera, i luoghi dove la gente non deve capire, deve essere relegata in una sorta di medioevo moderno.
Da qui la mia “ribellione riflessiva”, un modo per riscattare la memorie delle mie origini, dei miei bisnonni e dei miei nonni, alle persone che sono dovute emigrare, una volontà di rendere giustizia al Sud, ho iniziato a scrivere queste storie, e vado avanti.
Lei parla delle sue origini, a me ha colpito molto il modo in cui parla di suo nonno, che cosa ricorda di quello che le ha insegnato?
Mio nonno era arrotino, così come il padre, e nel loro lavoro parlavano alla gente e raccontavano le storie, anche ad alta voce, e io da bambino che andavo col nonno, ho imparato l’importanza di raccontare i fatti, le cose che accadono anche attraverso la narrazione.
Ci troviamo nella Terra dei fuochi e dei veleni, e purtroppo per noi, nonostante negli ultimi tempi si sia scatenato un effetto mediatico molto imponente, non si può far a meno di pensare che nonostante questo, non si arrivi a niente di risolutivo. Cosa ne pensa?
Io credo che a molti convenga mantenere lo stato di fatto, in Italia abbiamo reso legale l’illegale: dietro l’affare discariche, traffico di rifiuti, gli inceneritori c’è un bacino di guadagno e di clientelismo, a cui nessuno vuole rinunciare, per cui se tutto funzionasse, se si risolvesse il problema dei rifiuti, chi è implicato in queste faccende poco chiare, avrebbe perso la propria fonte di guadagno e quindi costretto a “lavorare sul serio” e a mio avviso, questo, lo vogliono fare in pochi.
Lei, in Storie di scorie, porta in giro per l’Italia, uno spettacolo di forte impatto emotivo, ma anche di informazione con testimonianze, tutte documentate, la buona informazione è anche cultura, quindi, a chi diceva che con la cultura non si mangia, lei cosa risponderebbe?
Se si rivalutasse la nostra cultura, senza concentrarsi troppo su traffici illeciti e sulla cattiva politica, senza alimentare le attività criminali e quelle delle lobbies, che fanno di tutto per soddisfare i loro interessi, e se, le amministrazioni facessero dell’immenso patrimonio artistico e culturale che abbiamo in Italia, la leva sulla quale invogliare la rinascita del nostro Paese, molti problemi sarebbero risolti, ma per fare questo ci sarebbe bisogno di una nuova classe politica.
Giusy Clausino