di Arturo Formola
Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario del testamento lasciato alla Chiesa e agli uomini di buona volontà, da parte di Giovanni XXIII
Dopo l’apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962), Giovanni XXIII intende lasciare un vero testamento non solo alla Chiesa, ma a tutti gli uomini di buona volontà, vista la sua scomparsa avvenuta il 3 Giugno 1963. La Pacem in terris è orientata intorno a tre questioni strettamente legate tra di loro: dapprima i diritti e i doveri dell’uomo; in seguito la natura dell’autorità politica; infine il bene comune, particolarmente a livello universale. Questi tre temi risultano solidali in questo senso: “la tranquillità dell’ordine”, come afferma S. Agostino, esige la giustizia (diritti e doveri), il cui rispetto è opera propria dell’autorità quando si tratta del bene comune. Questa pace è anche il coronamento sperato dell’applicazione progressiva dei principi sociali. Non si trova la descrizione di una società ideale, in questo testo pieno di serenità e di realismo indirizzato a tutti gli uomini di buona volontà, ma l’oggetto è sempre quello di rendere la società umana degna del suo creatore. La pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire istaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio. Si tratta di un ordine umano, politico e non di un’organizzazione puramente fisica o organica, ove la libertà dell’uomo di fronte alle esigenze inscritte nella sua ragione svolge un ruolo decisivo, in bene come in male.
Il Papa scrive: “Il fondamento di ogni società ben ordinata e feconda è il principio che ogni essere umano è una persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera. Perciò è soggetto di diritti e di doveri, scaturendo gli uni e gli altri dalla sua natura: così essi sono universali, inviolabili, inalienabili. Se consideriamo la dignità umana alla luce delle verità rivelate da Dio, non possiamo che situarla ancora più in alto. Gli uomini sono stati riscattati dal sangue di Cristo Gesù, fatti per grazia figli e amici di Dio e costituiti eredi della gloria eterna”. Tutto il resto dell’enciclica è in germe in questo breve brano ove si distingue scrupolosamente tra ciò che è accessibile alla ragione e ciò che viene dalla una rivelazione soprannaturale. La dichiarazione dei diritti più completa che sia uscita dalla penna di un Papa, non è una parafrasi della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) che si contenta di enumerare, empiricamente, ciò che ad un dato momento storico si impone alla coscienza degli uomini. Giovanni XXIII avanza sotto una luce più alta, che gli permette particolarmente di stabilire una gerarchia di diritti e di indicare il loro fondamento immediato: “Ogni diritto essenziale dell’uomo prende in prestito in effetti la sua forza della legge naturale”. La saggezza della Pacem in terris non è quella della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Il Papa Giovanni XXIII si rivolge pertanto a tutti gli uomini di buona volontà in vista di un’opera, se non comune con i cristiani, almeno convergente. È l’applicazione del principio evangelico: Chi non è contro di noi è con noi (Mc 9,40).
Il bene comune che l’enciclica analizza lungamente è difficile da definire; deriva piuttosto da un’altra definizione, quella che si dà dell’uomo e il rapporto di quest’ultimo con Dio. È necessaria un’autorità che custodisca questo bene, ma l’autorità umana non può legare le coscienze, neppure in nome del bene comune più ampio che si possa immaginare su questa terra. Bisogna risalire a Dio, dal quale l’autorità politica legittima deriva e ne costituisce una partecipazione, non per servire d’alibi ai totalitarismi, ma per mettervi ostacolo: “la legislazione umana, secondo S. Tommaso, riveste il carattere di legge solo quando essa si conformi alla giusta ragione”. Potremmo dire che è un testo inquietante per degli amministratori, ma rassicurante per gli amministrati, dato che come dice il Papa: “se i poteri pubblici vengono a misconoscere o a violare i diritti dell’uomo, non soltanto mancano al dovere della loro carica, ma le loro disposizioni sono sprovviste di ogni valore giuridico”.
Una delle parti più originali dell’enciclica è precisamente l’ardente perorazione in favore del bene comune universale e la necessità di un’autorità mondiale che possieda i mezzi efficaci per promuovere il bene universale e senza che debba essere imposto con la forza. Concludo dicendo che il progetto pacifico di Giovanni XXIII è animato da una preoccupazione costante di indicare le regole di una organizzazione della vita economica, sociale e politica del mondo, rispettosa dei diritti immutabili delle persone ma capace di adattarsi ad un mondo trasformato dal progresso tecnico e di vedere nei “segni dei tempi” il disegno di Dio su ogni uomo.