Un anno fa rifugiati somali disperati cominciavano a riversarsi nei paesi vicini, spinti dal conflitto, dagli abusi dei diritti umani e dalla più grave siccità da decenni a questa parte. Si tratta solo dell’ultimo capitolo, dell’ennesimo crudo segnale della tragica e interminabile sofferenza patita dalla popolazione somala nell’arco di oltre vent’anni.
Davanti a violenza e fame, decine di migliaia di persone hanno cercato rifugio nei campi per profughi della regione. Per la maggior parte hanno marciato per giorni nel deserto, a volte per settimane, arrivando a destinazione esausti, malati ed emaciati e spesso portando tra le braccia i figli deboli e morenti, o i pochi beni che possedevano.
Oggi le sfide in campo sono ancora molte. Il protrarsi del conflitto e le scarse precipitazioni stagionali continuano a indurre molte persone a fuggire dal proprio paese, anche se in misura minore rispetto alla scorsa estate. Nei primi 4 mesi del 2012 circa 20.000 somali hanno cercato rifugio nei vicini Kenya, Etiopia, Gibuti e Yemen. Tra giugno e settembre dello scorso anno, in media 40.000 somali ogni mese avevano lasciato il proprio paese.
Lo scorso Maggio, i campi dell’area di Dollo Ado in Etiopia – che già accoglievano oltre 150.000 rifugiati – hanno registrato un notevole incremento nel numero di nuovi arrivi, passato da meno di 980 persone nella prima metà del mese a più di 2.000 nella seconda metà. I nuovi arrivati raccontano di fuggire perché temono per la loro incolumità e per la diminuzione delle risorse alimentari. In particolare citano come ragioni della loro fuga dalla Somalia il timore di essere coinvolti in operazioni militari, di essere oggetto di reclutamento forzato, di patire le conseguenze delle scarse piogge e della distruzione dei raccolti ad opera di mezzi cingolati. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) sta collaborando con le autorità etiopi per identificare un sito nel quale allestire un sesto campo in quest’area, già sovraffollata e fragile dal punto di vista ambientale.
Nel campo di Dadaab in Kenya, intanto, oltre 460.000 rifugiati continuano a vivere in condizioni di sicurezza precarie. Resta alta la minaccia di ordigni esplosivi improvvisati, sparatorie, rapimenti e razzie. Tuttavia nel campo si continua a prestare assistenza e svolgere attività. A Dadaab durante l’emergenza l’UNHCR ha assistito anche a straordinari atti di solidarietà. Rifugiati che da anni vivono nell’insediamento e la comunità locale hanno generosamente accolto i nuovi arrivati, condividendo con loro tutto ciò che avevano.
Nel corso dell’ultimo anno la sfida principale e più difficile per l’UNHCR e le agenzie partner è stata quella di ridurre i tassi di mortalità e malnutrizione, che tra i nuovi arrivati somali hanno toccato livelli senza precedenti.
Nonostante le cure mediche d’emergenza e i programmi di alimentazione terapeutica nei campi di Dadaab e Dollo Ado, non e’ stato possibile aiutare molti dei bambini da poco arrivati, che sono morti nel giro di poche ore o giorni. Al picco dell’afflusso la scorsa estate, il tasso di mortalità era stimato in 17 decessi su 10.000 persone ogni giorno.
Già nelle prime fasi della crisi l’UNHCR e le agenzie partner hanno istituito programmi nutrizionali fondamentali nei centri di accoglienza e di transito e nei campi. Insieme alle vaccinazioni di massa e ad altre misure di salute pubblica, questo imponente impegno ha consentito di salvare molte vite negli ultimi 12 mesi. I tassi di mortalità e malnutrizione hanno cominciato a decrescere dai livelli record di settembre, ma hanno impiegato altri 6 mesi per scendere sotto i livelli che normalmente si riscontrano in un’emergenza, ossia meno di 1 su 10.000 persone al giorno. Attualmente nei campi di Dollo Ado si registra un tasso approssimativo medio di mortalità pari allo 0,8 per 1.000 al mese e un tasso di mortalità infantile (relativo a bambini con meno di 5 anni) del 2,2 per 1.000 al mese. Nel complesso di campi per rifugiati di Dadaab il tasso di mortalità approssimativo è dello 0,2 per 1.000 al mese, mentre è pari allo 0,6 per 1.000 al mese quello relativo ai minori con meno di 5 anni.
Un altro importante risultato riguarda la riduzione degli alti tassi di malnutrizione, che avevano toccato quote mai verificatesi da decenni a questa parte. Il fenomeno era particolarmente allarmante tra i bambini rifugiati: nei mesi di giugno e luglio dello scorso anno oltre la metà dei bambini somali che arrivava in Etiopia presentava grave malnutrizione. Era inferiore – ma egualmente preoccupante – il tasso registrato tra coloro che giungevano in Kenya, pari al 30-40%. Anche i più esperti tra gli operatori UNHCR hanno dichiarato di non aver assistito a niente di simile dai tempi della carestia del Sudan meridionale del 1998 o della crisi alimentare di Brazzaville del 1999.
I risultati dei più recenti screening di massa mostrano un netto calo della malnutrizione tra i bambini con meno di 5 anni di Dadaab (7%). Anche a Dollo Ado i livelli di malnutrizione tra i minori si sono stabilizzati e in tutti i campi di registrano trend positivi. Nei campi di Melkadida e Bokolomayo, che furono tra i primi a essere costruiti, i tassi di malnutrizione acuta sono scesi al 15%. L’UNHCR è attualmente impegnato nella preparazione di uno studio di verifica nei nuovi campi di Kobe e Hilaweyn, dal quale si attendono livelli di malnutrizione acuta generale notevolmente ridotti.
Di pari passo con questo impegno sono andati gli imponenti programmi per l’acqua, per i servizi igienico-sanitari e per l’igiene, che sono risultati essenziali ai fini del diffuso miglioramento delle condizioni di salute della popolazione di rifugiati somali.
Nel corso dell’ultima emergenza nel Corno d’Africa i paesi limitrofi hanno sopportato l’impatto dell’esodo dei somali. Col protrarsi della crisi in Somalia che dispiega i suoi effetti in tutta la regione, la pressione sulle comunità locali d’accoglienza si fa enorme. È quantomai necessario per esse ricevere un costante sostegno da parte della comunità internazionale.
Nel solo ultimo anno circa 300.000 persone sono fuggite dalla Somalia. Ad oggi i somali che vivono da rifugiati nei vicini Kenya, Etiopia, Yemen e Gibuti sono oltre 980.000.