Rifiuti tossici, la storia infinita

Era il luglio del 1988 quando tre consiglieri comunali dell‘allora Partito Comunista Italiano di Casal di Principe denunciò a tutte le massime istituzioni locali e nazionali la presenza sul territorio casalese
e dei comuni limitrofi di cave di estrazione di terra e pietre per i lavori della superstrada Nola – Villa Literno che erano utilizzate come discariche di rifiuti solidi urbani.

rifiuti
Nell‘interpellanza si faceva un preciso riferimento alla pericolosità dell‘uso delle cave come discariche
di rifiuti in quanto la falda acquifera poteva essere facilmente contaminata dalle sostanze nocive. Altro inquietante particolare denunciato dai consiglieri la presenza in una discarica localizzata in Casal di Principe di contenitori di dubbia provenienza e di contenuto misterioso che lasciava ipotizzare la presenza di rifiuti tossici industriali.

L‘attività di denuncia non si interruppe ma anzi nelle settimane successive il Pci fece stampare ed affiggere un manifesto pubblico di denuncia. I bidoni incriminati furono sequestrati e spediti in un deposito di Frattamaggiore in attesa di analisi per verificare la presenza di sostanze tossiche o radioattive.

Da allora Renato Natale, Cesare Zumbolo e Ulderico Natale, i firmatari dell’interpellanza / denuncia non hanno più avuto nessuna notiza della vicenda né, tantomeno, sono mai stati ascoltati da magistratura o forze dell‘ordine.

L‘anno successivo iniziative analoghe partirono dalla sezione del Pci di Villa di Briano che con l‘attivista Gianni Solino presentò un‘altra denuncia per fatti simili; fu organizzato anche un convegno pubblico sull‘argomento ma, anche in quel caso, la cosa finì senza conseguenze.

Più che la cittadinanza – afferma, oggi, Renato Natale tra gli estensori della prima denuncia – io direi che assenti o complici  furono le cosiddette autorità dell’epoca, da politici locali, a funzionari ministeriali, a magistrati e forze dell’Ordine. Oggi certamente la situazione è diversa, ma, per favore, ci si faccia la cortesia di non accusarci più di omertosa acquiescenza!

Ne è passato di tempo da quel luglio ‘88 e ne sono successe di cose in questi territori ma il tema  ambientale è stato inscatolato in muri di gomma talmente spessi che al solo avvicinarsi si veniva rimbalzati fuori.

Occorre aspettare l‘ottobre 2003 per scoprire che cento tonnellate al giorno di rifiuti provenienti dal Nord sono transitati per l‘Agro Aversano. La procura all‘epoca stimò che lo smaltimento illegale aveva portato almeno tremila tonnellate di rifiuti tossici e pericolosi nei nostri territori. Prese così le mosse
l‘inchiesta Cassiopea. L’indagine riuscì ad accertare la quantità dei traffici (un milione di tonnellate di rifiuti tossici), ma anche il meccanismo utilizzato dalle industrie del nord, (dall’Emilia Romagna alla Lombardia, dal Piemonte al Veneto passando per laToscana) per liberarsene.

Tutto veniva inviato, tramite camion, in Campania, dove l’uso di discariche abusive faceva risparmiare non pochi quattrini.

Sotto accusa finirono imprenditori, trasportatori, faccendieri e titolari delle cave dismesse.
98 furono le persone rinviate a giudizio. Ma tra errori di notifica, rinvii, scioperi di avvocati, trasferimenti di giudici, astensione dei penalisti, passaggi di competenze e quant’altro sono trascorsi più di sette anni da quel giorno e la prescrizione ha fatto il suo corso prima coi reati minori e
poi con quelli associativi e di disastro ambientale.

Così, e questa è storia recente, con la complicità, stavolta, della burocrazia anche Cassiopea la cd. “madre di tutte le inchieste” in tema di ecomafie è caduta nel vuoto con il proscioglimento di tutti gli imputati.

Negli ultimi giorni, rivelazioni di alcuni pentiti hanno permesso il ritrovamento di altre due discariche contenenti rifiuti tossici. Il primo ritrovamento, agli inizi di settembre, in un sito di circa ottomila metri quadrati, che era gestito da esponenti di primo piano della fazione del clan dei Casalesi con rifiuti ritenuti altamente pericolosi, seppelliti fino ad una decina di metri di profondità e coperti da uno strato di cemento spesso circa un metro.

Il terreno, cinto da un alto muro in mattoni di tufo, è risultato essere di proprietà dell‘Istituto Diocesiano Sostentamento del Clero della Curia di Aversa, e, negli anni ’80, fittato ad un uomo,
ritenuto vicino ai clan.

I primi rilievi hanno accertato la presenza di materiale sabbioso maleodorante sulla cui natura saranno effettuate analisi da parte dell‘Arpac.

Il secondo ritrovamento il 7 ottobre sotto il parcheggio dell’Ippocampos, un notissimo complesso ricreativo di Castel Volturno, dove da ben 17 anni c’è del materiale radioattivo, seppellito e nascosto
sotto uno spesso strato di cemento che le ruspe han fatto fatica a rompere.

I vigili del fuoco presenti sul posto per effettuare i rilievi del caso hanno parlato di rilevatori della radioattività impazziti appena in prossimità dell‘area. I Tir carichi di rifiuti pericolosi (in particolare scarti della lavorazione dell’alluminio e dell’ammoniaca) arrivavano a Castelvolturno dalle regioni del nord e di notte scaricavano nell’enorme invaso proprio a ridosso della pineta. Quando l’alveo fu
colmo, venne chiuso con un tappo di cemento spesso una decina di centimetri, su cui infine venne sparso del terreno. E sotto terra, con conseguenze che nessuno può al momento valutare per le falde
acquifere, i veleni sono rimasti 17 anni.

Per molte ore, nel corso del pomeriggio, i tecnici dell’Arpac, l’Agenzia regionale per l’ambiente, hanno compiuto prelievi a campione sulle sostanze riemerse dal terreno e ormai così indurite che le ruspe
hanno fatto fatica a spostarle. Occorreranno settimane prima che si sappia con certezza di che cosa si tratta.
Ironia della sorta nella serata del 7 ottobre nella fiction  “Un posto al sole” uno dei protagonisti risulta invischiato in un traffico di rifiuti tossici dal Nord e che interra nelle fondamenta di un complesso
ricreativo dei fusti tossici. Spetta al figlio dell‘imprenditore spezzare la spira ed opporsi allo stato di cose ricordando la pericolosità delle scorie a contatto con la falda acquifera e l‘aumento in Campania
delle patologie tumorali.

La risposta è che il sistema va così e non sarà di certo lui a fermarlo. Adesso resta la speranza: dopo la rabbia, l‘indignazione, le lacrime. Speranza che nascano nuove inchieste, che si giunga alla verità e che i nuovi processi non vengano, come successo con Cassiopea, vanificati da cavilli burocratici e da  prescrizioni varie.

Speranza che nasca una nuova coscienza civica, che si rompa il muro di omertà e di paura e che altri siti
vengano individuati e bonificati.

Speranza che tutti insieme si riesca ad invertire il sistema poiché non è detto che deve andare per forza così. Non è in gioco solo il nostro territorio ed il nostro futuro ma anche le persone che amiamo.

Appena un anno fa la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha riscontrato come nei nostri territori c’è l’80% in più di tumori rispetto alla media nazionale. Cifre che fanno paura ma che devono essere la chiave di volta per la rivoluzione copernicana che deve avvenire in queste terre. Trasformare le lacrime versate per le persone care portate via dal male e la rabbia accumulata in carburante propulsivo per giungere al disfacimento di questo sistema.

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